Siamo nel 1972 e al MoMA di New York si tiene una delle mostre di maggiore successo, tanto da essere prorogata. Il titolo è Italy. The New Domestic Landscape ed è curata da un intraprendente architetto e designer argentino, Emilio Ambasz. La mostra è dedicata ad un fenomeno a conoscenza di molti ma che fino a quel momento non era riuscito a proporsi al pubblico come un qualcosa di coeso e caratterizzante: il design italiano. Ambasz nel saggio di introduzione al catalogo descrive il fenomeno attribuendo ad esso diverse caratteristiche a ben vedere contraddittorie: la grazia e la provocazione, l’attenzione realizzativa e lo scetticismo nei confronti del funzionalismo, il proporre oggetti che ammiccavano ad uno stile al di là del tempo e il non rifiutare di diventare “oggetti di costume”. Messi insieme nel magnifico spazio newyorchese gli oggetti del design italiano ribadivano le analisi di Ambasz: ribadivano il fascino di un eclettismo gentile, accessibile e sofisticato al tempo stesso.
Prendiamo l’esempio di uno dei più grandi designer dell’epoca, Ettore Sottsass. Figlio di un rispettato architetto del ventennio, Sottsass è un antesignano già nei primi anni ’50 di quello che verrà definito l’industrial design, o meglio si propone come un artista prestato all’industrial design come anche all’artigianato di qualità. È un intellettuale a tutto tondo, sempre al centro del dibattito di una città in gran fermento come poteva essere la Milano degli anni ’60 e successivi. Rispetto ai designer internazionali si propone con un atteggiamento anti-feticista, come se l’oggetto fosse solo un pretesto per affermare un ragionamento estetico privo di riferimenti fissi, variabili con disinvoltura in nome di quello che potremmo definire un eclettismo decantato. Notevoli i suoi scritti autobiografici, in cui si sente sia la...
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