C’erano una volta le città e ci sono ancora. Luoghi di eterna trasformazione attraverso fasi continue di metabolismo urbano che macinano e rimacinano le loro parti secondo leggi che alle volte conosciamo bene e che altre volte ci sfuggono. In certi casi non ci resta che fare da spettatori perché succedono cose che non sono scritte nei piani, alle volte possiamo seguire l’ordine degli eventi seguendo una scaletta precisa, un canovaccio scritto che si attua nel tempo. Di certo, come benissimo aveva intuito Jane Jacobs nel suo saggio del 1961 oramai divenuto un classico che tutti quelli che si occupano di architettura dovrebbero avere letto, le grandi città hanno una vita e una morte. Ma noi, a distanza di 60 anni, possiamo spingerci oltre e dire che tutte le grandi città si trasformano e che l’hanno sempre fatto, siano esse americane o no. Le metropoli si autoplasmano e tutto sommato ci rappresentano. Quindi sta a noi operare perché questo processo, che fluisce e si nutre degli avvenimenti e delle strategie più varie, diventi il migliore progresso possibile, per noi e per le generazioni future.
Alle volte basta un buon progetto per riavviare un’area cittadina verso un altro destino e un’altra fortuna. A Montréal, nel cosiddetto Quartiere delle Arti, un intervento firmato Provencher_Roy ha rimesso in gioco un’area che, sebbene centrale, era diventata da più di un ventennio un luogo malfamato e da evitare. Il grande studio canadese ha già dato prova della sua capacità di recuperare spazi dimenticati o semplicemente negletti in varie occasioni, una fra tutte il brillante recupero del Grand Quai al Porto di Montréal. Progetti che riflettono da una parte il malcelato amore di Provencher per la maggiore metropoli del Québec e, dall’altra, la sua volontà nel perseguire, attraverso un disegno sempre esteticamente valido,...
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