Come ormai è ben noto, gli edifici consumano una quota rilevante dell’energia del pianeta. Quando vengono demoliti e rimossi, l’energia spesa va persa e, per sostituirli, viene utilizzata ulteriore energia. Per questo motivo, nel XXI secolo la trasformazione e il riutilizzo di edifici esistenti mediante un processo di riuso adattivo manifesta la nostra responsabilità collettiva nell’affrontare la crisi climatica globale. Inoltre, dopo un secolo in cui gran parte del patrimonio edilizio originale dei nostri centri urbani è andato perso in seguito a interventi di sviluppo urbano, stiamo iniziando a capire che è nostro dovere trovare nuove modalità per riqualificare gli edifici e trarre vantaggio dalla loro conservazione, in quanto rappresentano un significativo valore storico culturale collettivo.
Ho iniziato a interessarmi alla trasformazione di edifici esistenti nei primi anni del mio percorso di studi in architettura all’università di Edimburgo, durante i quali mi ero appassionato al confronto sul tema degli edifici più significativi protomoderni e moderni, portato avanti da stimati teorici come Nicolas Pevsner, Reyner Banham e William Curtis. Nel tempo libero andavo a visitare gli edifici industriali dismessi del XIX secolo sull’estuario del fiume Clyde, a ovest di Glasgow, di cui ho ancora un preciso ricordo. Mi attraevano queste strutture obsolete; la loro evidenza espressiva e compositiva, la loro forza fisica, l’atmosfera che vi si respira, le rendevano maestose. Mi davano l’impressione che avessero ancora la capacità e la voglia di funzionare.
Completati i miei studi di architettura ho svolto un periodo di formazione come architetto a Boston. Contemporaneamente ho viaggiato attraverso il Nord America spinto dal mio interesse per i capolavori architettonici del XIX e XX secolo, che cercavo di comprendere meglio, in particolare gli edifici di Louis Kahn, oltre al Johnson Wax Administration Building di Wright nel Wisconsin, il Monadnock Building a Chicago di Burnham e Root, l’ultima grande struttura in mattoni, il Prudential (Guaranty) Building di Sullivan a Buffalo e la Beinecke Rare Book and Manuscript Library di Bunshaft a New Haven.
Non a caso, i due studi dove ho svolto la mia formazione prima di avviare una mia attività - Cambridge Seven a Boston e Richard Rogers Partnership a Londra - portavano avanti i loro principi creativi con lo stesso spirito innovativo, nel rispetto degli esempi storici precedenti, particolarmente di quelli realizzati dai precursori del Modernismo.
Primi esempi di “isole” di persistenza
Conseguentemente, il primo progetto sviluppato nel 1984 dal mio primo studio, fondato con Jamie Troughton, era ancora influenzato dalla mia formazione e dalle mie passioni in architettura, evidenti in un progetto di dimensioni modeste ma di grandi ambizioni: la trasformazione di un vecchio autosalone pericolante a Londra in spazi di lavoro per una start-up creativa.
Dieci anni dopo ho fondato John McAslan + Partners. Assieme abbiamo progettato e completato progetti con diverse tipologie e dimensioni nel Regno Unito e all’estero. Sono tutti improntati dal desiderio di chiarezza, da un punto di vista sia architettonico sia ingegneristico; oggetto di una parte significativa del nostro lavoro continua a essere il riuso di edifici e siti esistenti. Alcuni hanno rilevanza storica, altri meno, ma tutti sono un patrimonio edilizio da rivalutare da un punto di vista sia ambientale sia creativo.
Il riuso adattivo è una strategia per poter conservare la preesistenza in questo secolo caratterizzato dal consumo e dalla transitorietà di dati e immagini; esso unisce senso pratico e inventiva, e richiede la massima concentrazione su strutture, contesti e materiali esistenti. Questi progetti necessitano di immaginazione e abilità specifiche e di un intento preciso che, nel nostro lavoro, rientra in tre categorie: riuso, restauro e rinnovo, trasformazione del “vecchio” in “nuovo”.
La riqualificazione di spazi dismessi e il loro riutilizzo a fini culturali dà luogo spesso a una pratica adattiva più dinamica, in quanto molto varia per dimensioni e destinazioni. Uno degli esempi più brillanti e originali è ad opera di Lina Bo Bardi, che nel 1977 trasformò a San Paolo un vecchio stabilimento di fusti metallici nel Centro culturale e ricreativo SESC Pompéia. Altro esempio, l’ormai leggendario Museo di Castelvecchio a Verona, dove Carlo Scarpa inserì in un contesto medievale elementi moderni in modo innovativo e creativo. Totalmente diversi da Scarpa, ma altrettanto coinvolgenti sono il MASS MoCA di Bruner/Cott & Associates, la trasformazione in museo di un complesso industriale di circa sette ettari a North Adams, Massachusetts, e il Dia:Beacon, ex fabbrica di imballaggi convertita da Rice+Lipka in un grande museo d’arte contemporanea sulle rive dell’Hudson a Beacon, New York. Il riuso adattivo è in grado di generare una combinazione di soluzioni e, a volte, notevoli ritorni finanziari. Negli anni ’70, per esempio, un tetro edificio scolastico ubicato in una zona periferica di New York è stato riconvertito nel PS1, il centro artistico di arte contemporanea più dinamico della città, stimolando la realizzazione di altri progetti di riutilizzo ad uso misto in tutta l’area circostante. Oggi il PS1, come sede distaccata del MoMA, è finanziato da società come Bloomberg Philantropies, Allianz e Volkswagen all’interno dei loro programmi di investimento ESG (Environmental, Social and Governance). La sola Bloomberg investe tre miliardi di dollari l’anno in progetti ESG.
Ha ottenuto un simile impatto, ma su scala ben più ampia del PS1, la trasformazione a Londra nel 2000 dell’obsoleta centrale termoelettrica di Bankside nella Tate Modern Gallery, che ha ispirato diversi progetti di rigenerazione a uso misto nella zona. A una scala ancora più ampia, la conversione nel 2006 delle miniere di carbone dello Zollverein a Essen nel Museo della Ruhr, nel Red Dot Design Museum e in altri spazi culturali annessi, ha dimostrato che praticamente qualsiasi tipologia edilizia può essere oggetto di riqualificazione e riuso.
Al di là del settore culturale, l’approccio sensibile praticato dallo studio Lacaton & Vassal in progetti che rispondono alla logica di riparare e ristrutturare in modo rispettoso l’esistente, è evidente per esempio nel suo intervento su blocchi residenziali a Bordeaux e Parigi: esso dimostra come progetti di riuso adattivo a basso costo e socialmente utili possano interessare strutture non rilevanti ma di valore collettivo, trasformando la vita di chi ci abita.
Riassumendo quello che ritengo sia evidente, possiamo affermare che i benefici del riuso adattivo sono potenzialmente infiniti e che esso rappresenta una rinascita sostenibile delle città e un’opportunità per migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Un primo, semplice passo al riuso
Per il mio studio, l’obiettivo dei progetti di riuso adattivo è quello di includere interventi che risolvano la funzionalità dell’edificio in modi inediti. Ci chiediamo per esempio come riuscire a ridurre al minimo questi interventi ottenendo comunque il massimo in termini di funzionalità e di vivibilità di uno spazio pubblico. Oppure ci domandiamo quando è opportuno introdurre nuovi elementi architettonici che siano complementari all’edificio originale per creare nuove possibilità.
In uno dei nostri primi progetti di riutilizzo adattivo negli anni ’90, abbiamo riqualificato un magazzino industriale pericolante a Colebrooke Place a Londra - lo inseriamo nella categoria riuso, sebbene sia un esempio del concetto del less is more. L’introduzione in Inghilterra della classificazione d’uso B1 ci consentì di convertire l’edificio originale in uno spazio di lavoro, prefigurando il riuso adattivo flessibile di ampie strutture fatiscenti che avremmo poi adottato nei nostri successivi lavori. In questo intervento, una singola azione ha riconfigurato il volume interno preesistente: alzando le catene delle capriate della copertura abbiamo creato uno spazio sufficiente per inserire un mezzanino, sostenuto da eleganti colonne in calcestruzzo gettato in opera e con un pavimento flottante leggero.
Abbiamo adottato questa strategia di minimo intervento anche per un progetto completamente diverso a Greenwich, sito Patrimonio Mondiale dell’Umanità; in questo luogo storico abbiamo riprogrammato e aggiornato con nuove funzioni il King Charles Building, costruito tra il XVII e XVIII secolo da Wren, Hawksmoor e Vanbrugh - i tre maestri dell’architettura barocca inglese. Lo scopo del nostro lavoro era riparare con discrezione il tessuto storico originale, inserire sistemi a basso consumo energetico non visibili, e organizzare nuovi collegamenti tra le diverse parti degli edifici storici per creare un “circuito” interno in cui introdurre nuove aule e sale prove, oltre a spazi performativi e alloggi di supporto.
Uno dei nostri progetti di riuso più conosciuti è la Roundhouse a Londra, ex piattaforma ferroviaria girevole risalente al XIX secolo, diventata obsoleta poco dopo la sua costruzione nel 1846 in conseguenza della rapida evoluzione delle tecniche di riparazione delle locomotive. Dopo il suo utilizzo come magazzino per il gin prima e come importante, seppur temporaneo, centro culturale progressista tra gli anni Sessanta e Settanta, è stata trasformata dal mio studio in una delle sale per concerti e spettacoli più versatile e amata di Londra. Ci siamo resi conto molto presto che avremmo potuto trasformare questo ampio edificio circolare in uno spazio performativo a tutta altezza e che, con minimi cambiamenti, era possibile conferire alla struttura un carattere teatrale eccezionale e vivace. Aggiungendo pannelli acustici mobili e un’attrezzatura tecnologica innovativa abbiamo reso la struttura adatta ad accogliere spettacoli in piedi o itineranti fino a 3.500 persone, o con sedute tra 500 e 1.000 posti. Abbiamo quindi adottato un approccio “kahniano”, disponendo attorno ai due terzi della struttura circolare uno spazio dedicato ai servizi (ristorante, bar, teatro sperimentale, foyer principale, uffici e corridoio). Per incrementare la relazione tra la Roundhouse e la collettività locale abbiamo convertito le parti sotterranee circolari in spazi creativi destinati a giovani musicisti locali. Questo progetto pluripremiato, completato nel 2006, è stato definito da un critico stimato “uno degli esperimenti più radicali mai visti in termini di interazione, un intervento da considerarsi come modello per una società multiculturale”.
A Oxford, lungo le rive del Tamigi, stiamo trasformando la centrale elettrica dismessa di Osney del XIX secolo nel nuovo complesso della scuola di formazione manageriale Saïd Business School, con nuove aule dotate di attrezzature d’avanguardia e un’ala residenziale con 120 camere. Per poter preservare quanto più possibile delle caratteristiche della solida struttura vittoriana abbiamo pensato di creare un’agorà a tutta altezza al centro dell’edificio, in quella che era la sala delle turbine, distribuendovi attorno spazi multifunzionali per la didattica, nello spirito del classico cortile interno dei college.
L’esigenza di conservare la preesistenza si è ripresentata anche nei progetti per i musei Msheireb a Doha nel Qatar. Abbiamo ristrutturato, rimodernato e ampliato con grande cura quattro storiche residenze a corte adiacenti trasformandole in un complesso museale, parte dell’ambizioso sviluppo di Msheireb Downtown Doha (MDD). È il primo progetto al mondo di rigenerazione sostenibile di un centro cittadino, un complesso di oltre 100 edifici per un totale di 750.000 m2 su un sito di 31 ha. Da un punto di vista programmatico, queste residenze storiche trasformate dal nostro intervento in musei affrontano temi importanti e significativi, come la tratta internazionale di schiavi in uno dei musei e la mappatura della crescita e dello sviluppo dello stato del Qatar dal suo inizio, in altre strutture museali. Il tessuto edilizio e la struttura degli edifici esistenti avevano subito danni di varia entità, riparati in seguito ricorrendo a tecniche tradizionali mentre i nuovi, pochi e mirati interventi sono stati in generale introdotti per conservare e valorizzare l’architettura storica. Gli interni, per esempio, sono stati corredati da ampie gallerie espositive mentre all’esterno sono stati aggiunti nuovi spazi, facilmente identificabili, come le sale video rivestite in acciaio Cor-Ten che prospettano sui cortili di uno dei musei.
I nostri progetti di riqualificazione più estesi, come la trasformazione a Mosca delle fabbriche storiche Stanislavsky e Bolshevik in edifici culturali a uso misto, superano i 50.000 m2 di superficie. Nel progetto Stanislavsky abbiamo riadattato e riutilizzato un complesso di stabili industriali del XIX e XX secolo, inserito nuovi edifici per appartamenti, realizzato un hotel in quello che un tempo era un vecchio e pericolante blocco residenziale e rinnovato il leggendario - seppur obsoleto - Teatro Stanislavsky. Elemento chiave di questo progetto era la creazione di una tipologia di spazio pubblico di relazione completamente nuova per Mosca, adottata da allora dal sindaco anche in altri sviluppi urbani più recenti. Nelle vicinanze, sull’ampio sito della fabbrica Bolshevik - il cui valore a livello di patrimonio storico risale ai periodi pre- e post-rivoluzionari - ci siamo dovuti confrontare con 17 edifici diversi per epoca e stile. Il nostro progetto di riqualificazione adattiva ha utilizzato strutture sia originali sia nuove, realizzando uffici per start-up, percorsi interni vetrati, spazi commerciali, appartamenti, un ettaro e mezzo di giardini pubblici, oltre al nuovo Museo dell’Impressionismo Russo - quest’ultimo formato da una serie di gallerie parzialmente aggettanti dal corpo di un ex silo industriale. Anche questa strategia, come quella adottata per il progetto Stanislavsky, è diventata lo standard di riferimento per altri progetti di rigenerazione su siti industriali di grandi dimensioni a Mosca, ma non solo.
Restauro e rinnovo, a partire da Wright
Nei nostri interventi di restauro e rinnovo la destinazione originale degli edifici generalmente rimane la stessa, e il nostro compito è quello di migliorare la loro funzionalità e il loro impatto ambientale, mantenendo al contempo quanto più possibile della struttura originale.
Il nostro primo, importante progetto di questo tipo, iniziato a fine anni ’90, comprendeva il ripristino, il restauro e il riutilizzo dell’ultima opera costruita da Frank Lloyd Wright nel 1958, il semi-obsoleto Polk County Science Building nel campus del Florida Southern College, che ha la maggiore concentrazione al mondo di edifici del grande architetto. Dopo l’elaborazione di un masterplan del campus e di una strategia di recupero divisa per fasi, il primo passo da affrontare era ripristinare l’involucro esterno e impermeabilizzare l’edificio utilizzando tecniche innovative di restauro per i blocchi di cemento di Wright, che costituivano l’elemento costruttivo principale della muratura, sia esterna sia interna. In un momento successivo è stato sistemato anche il layout interno per adeguarlo ai nuovi requisiti pedagogici richiesti: sono stati rinnovati i laboratori e ripristinati i ponti interni di collegamento, inseriti nuovi servizi riprendendo le caratteristiche principali dell’architettura di Wright.
Diversi anni dopo, la nostra proposta vincitrice del concorso che prevedeva di salvare dalla demolizione la Riverview High School, progettata da Paul Rudolph nel 1958 a ovest del Florida Southern College, non ha avuto successo benché fosse un semplice cambiamento di programma, senza importanti interventi operativi. La scuola era infatti una delle prime strutture prefabbricate in acciaio a basso consumo energetico, con un design socialmente inclusivo. Interferire con la lungimirante architettura di Rudolph sarebbe stato un atto vandalico. Purtroppo, nonostante una campagna coordinata tra il World Monuments Fund e architetti di rilevanza internazionale, nonché il mio personale contatto con il governatore della Florida, il nostro progetto di ristrutturazione è stato bloccato all’ultimo minuto e la scuola è stata fatalmente demolita e sostituita da un gruppo di nuovi edifici decisamente al di sotto del livello dell’edificio di Rudolph, per di più non sostenibili.
La mia esperienza nel salvataggio dello Science Building di Wright ha contribuito a definire dei principi che in seguito abbiamo applicato nel progetto di restauro e rinnovo di ciò che è forse il prototipo più importante dell’architettura in stile Streamline Moderne degli anni ’30 nel Regno Unito: il padiglione De La Warr a Bexhill-on-Sea, progettato da Erich Mendelsohn e Serge Chermayeff, che vanta la prima struttura in acciaio saldato del Paese. Come l’edificio nel campus del FSC di Wright, anche questo padiglione era un’architettura a rischio, nonostante testimoniasse un innovativo ed economico metodo costruttivo e nonostante la sua singolare architettura modernista d’intrattenimento affacciata sul mare.Per questo meticoloso lavoro di rigenerazione era fondamentale utilizzare tecniche moderne per recuperare sia le rifiniture originali, sia il suo straordinario design aerodinamico. Altrettanto impegnativo è stato l’inserimento di nuovi servizi. Ci siamo inoltre occupati del restauro dell’auditorium e abbiamo progettato una nuova galleria d’arte, un ristorante e due ali dove, per ampliare il programma funzionale e aumentarne l’attrattiva, abbiamo inserito sale prove e spazi performativi.
Questo progetto ci ha preparato alle sfide che abbiamo dovuto affrontare per la trasformazione recentissima del famoso museo che ospita la Burrell Collection a Glasgow, progettato da Gasson, Meunier e Andresen e completato nel 1983. Il Burrell, alla pari della Hayward Gallery e del Sainsbury Centre, è considerato uno degli edifici culturali del tardo modernismo più importanti del Regno Unito; abbiamo quindi lavorato con la consapevolezza che tutto ciò che esulava dal semplice ripristino della vecchia struttura e dei suoi servizi ormai obsoleti non sarebbe stato accettato. Ma sapevamo anche che il crollo del numero dei visitatori sarebbe stato inarrestabile se prima non fosse stata migliorata l’accessibilità dell’edificio e resa più sofisticata la sua immagine.
Il processo progettuale prevedeva il raggiungimento di un equilibrio tra l’esigenza di preservare carattere e forme specifici dell’architettura e dei suoi materiali, e l’estensione della relazione con il parco e i boschi circostanti, per offrire ai visitatori di una delle più importanti collezioni d’arte private del XIV e XV secolo un’esperienza ancora più coinvolgente. Siamo riusciti nel nostro intento programmando quattro interventi principali: la riparazione dell’involucro dell’edificio, facendo in modo che materiali e dettagli si uniformassero a quelli originali riutilizzando, dove possibile, i materiali esistenti e migliorandone al contempo le funzionalità; la trasformazione del parco circostante in un nuovo accesso alla Collezione attraverso un percorso di accoglienza paesaggistico; la creazione di un volume di collegamento su più livelli nella parte centrale dell’edificio come nuovo fulcro della Collezione; l’ampliamento infine dello spazio espositivo, articolato per sezioni tematiche attrezzate con teche e vetrine alimentate da sistemi a basso consumo energetico.
Talvolta gli edifici sono permeati da un’atmosfera magica; pertanto il loro recupero e la loro trasformazione devono essere eseguiti con estrema cura e rispetto. Ne è sicuramente un esempio l’Iron Market a Port-au-Prince, Haiti, risalente al XIX secolo e severamente danneggiato dal devastante terremoto del 2010. Il team multi-disciplinare diretto dal mio studio ha riportato in vita la struttura in ferro molto amata dalla popolazione locale, inizialmente concepita come capannone ferroviario ma, arrivata ad Haiti dalla Francia sotto forma di elementi prefabbricati, ricostruita come mercato coperto.
Per oltre 100 anni l’Iron Market aveva rappresentato il fulcro del commercio locale e il cuore pulsante della città, e la sua semi-distruzione ha rappresentato un dramma per le persone e per il paesaggio urbano di Port-au-Prince. Oltre alla mera opera di ricostruzione (completata esattamente un anno dopo il terremoto), per riparare la struttura originale e gli elementi decorativi erano necessari interventi per aumentare la resistenza sismica dell’edificio, migliorarne la ventilazione e i servizi. Questo progetto non è stato un semplice intervento “top-down”: abbiamo coinvolto 750 persone che avevano perso il lavoro e abbiamo insegnato loro le tecniche di costruzione, in modo da renderle in grado di contribuire alla ricostruzione del mercato; infine, in seguito alla rinascita dell’edificio, si è data ai commercianti la possibilità concreta di riprendere le loro attività.
Londra e Sydney: dal “vecchio” al “nuovo”
Tra interventi di riqualificazione, restauro e rinnovo e di adattamento dal “vecchio” al “nuovo” c’è una differenza molto sottile e spesso ci sono sovrapposizioni inevitabili. Nel primo caso gli edifici di solito vengono ripristinati mantenendo forme e caratteristiche simili all’originale (per i musei Msheireb abbiamo comunque effettuato interventi significativi); nei progetti di trasformazione dal “vecchio” al “nuovo” invece si ha spesso più libertà di modificarne la forma, specialmente se va mantenuta la destinazione principale dell’edificio, integrandola di ulteriori servizi e incrementando il volume disponibile.
I nostri due interventi ad oggi più ampi e impegnativi ne sono un ottimo esempio: il progetto - da 500 milioni di sterline - di ammodernamento ed estensione della stazione di King’s Cross a Londra del 2012, e la trasformazione della storica stazione centrale di Sydney, in Australia, attualmente in corso. Le due stazioni, una volta terminata e resa operativa nel 2024 la stazione di Sydney, accoglieranno all’anno più di 250 milioni di passeggeri (ferrovie e metro).
Negli ultimi 150 anni, la “vecchia” e congestionata stazione di King’s Cross è stata funestata da integrazioni create ad hoc; tra queste, la sequenza di strutture degli anni ’60, che avrebbe dovuto fungere da ingresso ma che invece lo ha impoverito celando la doppia volta a botte di copertura dei binari visibile anche sulla facciata. Dal punto di vista operativo, il collegamento tra i binari dei treni nazionali ed extraurbani e tra i binari della metropolitana sottostante era altrettanto scadente.
Oltre alla rimozione delle aggiunte più tarde, alla riparazione della struttura vittoriana e ad alcuni lavori di modernizzazione, il nostro intervento più rilevante e fulcro dell’intero progetto è stata la realizzazione di una grande e ariosa tettoia a copertura della piazza laterale, che non solo ha creato un ampio spazio di confluenza, ma ha ripristinato a ovest l’ingresso originale del XIX secolo. Il “Western Concourse”, attualmente la struttura ferroviaria con copertura a singola campata più grande d’Europa, ingegnerizzata da Arup, presenta fasci in tubolari d’acciaio a curvatura parabolica che si aprono a ventaglio a partire dal prospetto ovest originale. In tal modo viene alleggerita l’intera struttura di arrivo e partenza e si crea un ampio atrio accogliente dal punto di vista visivo e spaziale. Altro cambiamento importante è stata la progettazione di una grande piazza davanti alla stazione, che ha lasciato libera l’architettura della facciata principale, per la prima volta dopo più di un secolo.
Il concetto alla base dei nostri interventi, da 25 miliardi di dollari, alla stazione di Sydney voluti da Sydney Metro e inclusi nel piano di sviluppo della metropolitana e che saranno completati nel 2024, è analogo a quello di King’s Cross; anche qui è prevista la realizzazione di un nuovo, imponente atrio per facilitare l’orientamento e la circolazione. Il nuovo cuore pulsante della stazione presenterà una solida copertura sporgente illuminata dall’alto che collegherà i binari delle principali linee nazionali ed extraurbane già presenti con la nuova infrastruttura sotterranea per la metropolitana. Quest’ultima verrà costruita dallo studio locale Woods Bagot, con cui collaboriamo per questo grande progetto, e completerà il programma di sviluppo trasformativo, d’importanza storica.
Conclusioni
Ritengo che la totalità dei nostri progetti di riuso adattivo che conservano, riadattano e ampliano la preesistenza, non solamente quelli che ho menzionato in questo testo, siano testimonianza di un’unica idea progettuale. Gli edifici, siano essi imponenti o modesti, sono come delle crisalidi: hanno il potenziale per poter essere trasformati in qualcosa di nuovamente produttivo, nuovamente coinvolgente, e nuovamente caratteristico, senza tuttavia perdere il loro patrimonio genetico architettonico o il loro carattere originale.
Quando ci si occupa di progetti di riuso adattivo, credo ci sia un unico obbligo da non trascurare, quello di arricchire la condizione urbana, ridurre l’impatto ambientale, riscoprire e ripristinare le caratteristiche e l’atmosfera di strutture, spazi e materiali esistenti. Nei progetti di riutilizzo adattivo sono le curve di apprendimento, continue e interconnesse, ad arricchirli in maniera unica, facendo sì che migliorino la vita delle persone e dei luoghi.
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