Quello che mi ha sempre colpito dell’architettura di SANAA, oltre all’indubbia ricerca estetica che ha portato lo Studio di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa a primeggiare nel mondo, è la capacità di rendere praticamente impercettibile lo sforzo strutturale e la complessità tecnologica dei suoi progetti. Se infatti è “semplice” ed ovvio discutere sulla dimensione compositiva dei progetti del duo giapponese, alla componente tecnica quasi mai viene resa giustizia dalla tradizione culturale contemporanea cui appartiene un settore della critica architettonica che si affida solo alla lettura della forma e delle proporzioni incapace di leggere quello che materia e statica raccontano. Forse tutto questo capita perché davvero i progetti di SANAA sono originati da un’infinita ricerca per l’essenza del disegno di architettura e all’apparente dematerializzazione del costruito, ma rimane il fatto che le sue realizzazioni sono elementi tangibili resi possibili da una cura maniacale dell’impianto progettuale a tutte le scale e dalla risoluzione di problemi tecnici attraverso giustapposizioni che sono semplici, quasi infantili, e che nascondono molto bene la propria complessità. D’altra parte, Kazuyo Sejima, alla lectio magistralis tenuta al Politecnico di Milano nella primavera del 2016 in occasione della presa della cattedra professorale, ha stupito molti nel suo ringraziare in modo aperto e franco tutti i suoi consulenti tecnici, dagli ingegneri strutturisti, a quelli impiantistici, agli esperti tecnologici per prestazioni e materiali, che - parole sue - «mi permettono di realizzare le mie idee come io desidero». Di fatto una rivoluzione, l’architetto che denuncia pubblicamente d’essere solo un abile regista e non un monarca assoluto del proprio progetto. Esattamente all’interno di questo modus operandi dello Studio SANAA si pone la...
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