Manuelle Gautrand Architecture | The Plan
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Manuelle Gautrand Architecture

Una mostra presso il Sito Le Corbusier a Firminy

Manuelle Gautrand Architecture
Scritto da Manuelle Gautrand -

La nostra esposizione presso il Sito Le Corbusier a Firminy in Francia, che si terrà da metà giugno 2021 fino a metà gennaio 2022, introdurrà l’edizione 2022 della Biennale Internazionale di Design di Saint-Étienne, il cui titolo sarà Bifurcations. È un tema profetico, considerato l’anno appena trascorso: rappresenta infatti un’opportunità di riflessione sulle strade che si aprono dinnanzi a noi e sulle decisioni da intraprendere. È un’occasione di svolta e di cambio di rotta, un incitamento a esplorare, sperimentare e cambiare.
Quali sono dunque le strade che si aprono dinnanzi a noi?
L’edizione 2021 intende focalizzare l’attenzione sull’architettura e l’invito a parteciparvi con una mostra monografica sul nostro studio e sui nostri interventi va in questa direzione. All’interno della Chiesa di Saint-Pierre a Firminy esporremo sette progetti per noi fortemente rappresentativi, approfondendo in ciascuno di essi il tema dell’evoluzione urbana, delle sfide ambientali e, innanzitutto, la questione dello spazio pubblico e della funzione dell’architettura nella gestione di un bene così prezioso.
L’architettura riflette un passato, una cultura e una visione del futuro, intesse una storia fatta di successive biforcazioni, che guidano l’uomo e organizzano la sua memoria. Tra le tante biforcazioni possibili, ne abbiamo scelte tre, per noi così fondamentali da plasmare il nostro modus operandi e diventare il filo conduttore dell’esposizione.
Innanzitutto la questione dello spazio pubblico, correlata al tema   “Il dono dello spazio pubblico”, inquadrato in un periodo di crescente pressione immobiliare che tende alla densificazione e alla privatizzazione. Tuttora le città europee - per limitarci a queste - si sviluppano intorno allo spazio pubblico che ne ha accompagnato la genesi e che, da tempo immemore, è alla base delle relazioni sociali. Il foro romano, ancora oggi, svolge una funzione urbana.
Secondariamente l’interrogativo sulla funzione, con il tema “Il laboratorio programmatico” contestualizzato in un momento cruciale, in cui ognuno di noi si chiede come viviamo, come lavoriamo, come ci muoviamo e quale sia la nostra relazione con la natura, anche se più o meno sentita. In questo quadro, come può l’architettura rispondere a tali interrogativi, affrontando e anticipando le nostre nuove esigenze?
Infine, il significato dell’architettura in relazione al suo impatto ambientale trattato attraverso il tema “Segni urbani”. Ci siamo posti l’interrogativo su come può la nostra architettura assicurare un impatto ambientale limitato, rispettare il pianeta, sanare gli errori del passato e, al contempo, veicolare un messaggio, un significato e un’emozione capaci di arricchire il contesto. Come possono l’uomo, le sue attività e l’impatto che ne consegue non essere invasivi e fare in modo che le nostre città non siano ridotte a formicai, per dirla con le parole di Victor Hugo?

Il Sito Le Corbusier a Firminy
Il Sito le Corbusier è un ente pubblico nazionale, nonché l’opera più estesa firmata da Le Corbusier su scala europea per superficie di intervento e per numero di edifici, alcuni dei quali classificati come Patrimonio Unesco.
La nostra esposizione sarà presentata nell’eccezionale cornice della Chiesa di Saint-Pierre, una costruzione dalla duplice funzione in quanto la chiesa si erge al di sopra di una base che ospita spazi di raccoglimento ed espositivi. L’energia che emana questo luogo così affascinante crea soggezione. Lo spazio che occuperemo si articola in un percorso circolare che fiancheggia i quattro lati per poi scendere a livello ipogeo e formare una serie di piccoli anfiteatri che si susseguono, ambiente dopo ambiente.

Cinema e architettura
L’andamento a gradoni delle sedute conferisce dinamismo allo spazio espositivo. Il percorso si snoda con continue variazioni di quota, che partendo dall’alto scende alle sedute più basse, dalle finestre che incorniciano il paesaggio agli spazi scavati nel terreno.
Ogni ambiente a gradonate non è solo spazio espositivo ma anche una piccola sala cinematografica dove si proietta un film ambientato nell’edificio oggetto di quella specifica sezione della mostra. Abbiamo affidato a un giovane regista una mini-serie, in cui ogni episodio narra una storia immaginaria, girata in ciascuno dei nostri interventi. 
L’architettura viene percepita attraverso il movimento. Per comprenderla, è necessario esplorarla e viverla. Il cinema è parte integrante della mostra, poiché ne occupa gli spazi e proietta una luce particolare sui nostri progetti. Registi e architetti sono entrambi creatori di spazi. Le città sono rappresentate nei film, esattamente come i film sono la rappresentazione della città. Dialogano e si completano a vicenda. La buona riuscita di un film dipende, tra le altre cose, dalla sua capacità di arricchire, rispettare e valorizzare il contesto in cui è ambientato. Documenta le qualità spaziali di un’architettura e, a una scala più ampia, della città. Il valore di un’opera architettonica risiede quindi anche nella sua capacità di creare luoghi che migliorano la nostra percezione della città. L’architettura guida la telecamera, propone movimenti, suggerisce inquadrature, mette in evidenza le sue molte dimensioni.

Una mostra progettata solo con materiale di riciclo
Una mostra è un evento effimero in un luogo che, in molti casi, continuerà a vivere anche quando questa sarà terminata. Non ci troviamo più nella dimensione della permanenza relativa dell’architettura, bensì in una dimensione di lavoro temporaneo, destinato a durare qualche mese. Per questo motivo abbiamo deciso di lavorare utilizzando solo materiali riciclati, dando loro una nuova vita per la durata dell’evento. Al termine, saranno nuovamente riutilizzati, in una sorta di ciclo vitale infinito.
Abbiamo così fatto ricorso alle risorse produttive di Saint-Étienne, coinvolgendo artigiani e aziende locali per realizzare il progetto della mostra. I materiali e la manodopera qualificata sono stati messi a disposizione da due aziende della regione Rodano-Alpi, ovvero Buitex e Marmonier. La prima, fondata nel XIX secolo, fin dagli esordi riciclava materiale dandogli una seconda vita; un approccio innovativo quando tutto ebbe inizio, un secolo fa. L’azienda iniziò recuperando tessuto di scarto da fabbriche tessili di Lione per farne combustibile per riscaldamento. Oggi trasforma i materiali più impiegati su scala mondiale, cioè jeans e bottiglie di plastica, per realizzare un prodotto versatile e multifunzionale. Lo abbiamo scelto per le sue proprietà assorbenti, dovendo rendere gli spazi di Le Corbusier più confortevoli, mitigando il freddo e l’impatto visivo del calcestruzzo grezzo. Gli anfiteatri sono stati dotati di piccoli cuscinetti per le sedute, mentre per la proiezione dei film la qualità fonoassorbente del materiale permette di rendere il suono più morbido. Buitex ci ha fornito un bellissimo materiale bluastro, che Marmonier ha poi ritagliato per rivestire su misura i cuscinetti delle sedute e i pavimenti degli anfiteatri, garantendo un risultato confortevole e una migliore qualità del suono.

I tre temi della mostra

1. Il dono dello spazio pubblico
Già alla fine del XIX secolo, l’architetto e urbanista austriaco Camillo Sitte lamentava cambiamenti nello spazio pubblico urbano: «Che fare se oggi la vita pubblica viene discussa sui giornali mentre in passato, ai tempi dell’Antica Roma o in Grecia, veniva raccontata dagli strilloni ai bagni pubblici, tra i portici o nelle piazze? Che fare se i mercati stanno sempre più abbandonando piazze e piazzole, finendo intrappolati in edifici tanto funzionali quanto esteticamente inadeguati, o addirittura scomparendo in blocco e venendo rimpiazzati dal servizio a domicilio […] Persino le opere d’arte nelle strade e piazze stanno man mano diradandosi, trovando nuova collocazione in quegli zoo artistici che sono i musei […] Per secoli, ma in particolare nella nostra epoca, la vita pubblica si è sempre più ritirata dal suolo pubblico, che ha così smarrito gran parte dell’antico significato».
Al giorno d’oggi, oltre alla progressiva riduzione della quantità degli spazi di vita collettiva assistiamo alla riduzione della loro superficie; le ragioni sono le più disparate, da quelle commerciali e finanziarie fino a quelle di sicurezza. Questa restrizione di spazi vitali per la comunità è il risultato di una sempre maggiore densificazione urbana. È un processo di cui va preso atto, ma dobbiamo anche minimizzare il nostro impatto sull’ambiente e limitare le distanze, mantenere gli obiettivi di sostenibilità tenendo tuttavia conto delle esigenze di una popolazione in aumento e dei principi basilari dell’abitare dignitoso. Di fronte al problema della densificazione - che preferisco chiamare “intensificazione” -, lo spazio pubblico deve crescere e svilupparsi in maniera proporzionale ad essa; dobbiamo dargli la massima attenzione per non scalfirne lo status “comunitario”, di bene non negoziabile, non privatizzabile, non in vendita, in quanto parte integrante della vita di tutti noi, il cemento delle nostre comunità. Lo spazio pubblico è il bene più prezioso, con cui intrecciare le nuove modalità di trasporto, dove insediare i luoghi di intrattenimento, scambio, ristoro; luoghi che devono rimanere flessibili, aperti a nuovi programmi non preventivabili o prevedibili. Lo spazio pubblico è uno spazio libero.
Il progetto “poroso” per Saint-Étienne che presentiamo, destruttura l’idea di una città fatta di blocchi solidi, di elementi urbani chiusi da circumnavigare. La sua forma deriva dal dialogo con la griglia urbana esistente, che si estende e coinvolge il centro per dare agli abitanti di Saint-Étienne una nuova strada, una nuova piazza, un nuovo traboule, ovvero un passaggio pedonale, tipico di borghi e città della zona. Il blocco aperto, privo di barriere, stimola gli abitanti ad attraversarlo, ad appropriarsene e a considerarlo una propagazione naturale dello spazio pubblico a servizio della comunità. In questo progetto, il vuoto ha lo stesso valore del pieno; ha la stessa espressività e la stessa interconnessione, profonda e generosa, con la città. Questi spazi pubblici devono inoltre essere immaginati in tre dimensioni, non solo in pianta.
A Stoccolma la complessità del nostro progetto non era legata solo all’estensione verticale e alla densificazione, ma anche allo spazio interstiziale “programmatico” che abbiamo creato tra vecchio e nuovo. La qualità di questo progetto è ben evidenziata da questo spazio-filtro al confine tra esistente e nuovo, concepito come dilatazione tridimensionale del luogo pubblico circostante. Tra le realizzazioni un belvedere da cui osservare la città, un ristorante e una caffetteria, così come spazi di co-working e aree lounge comuni. Il terrazzo panoramico dà l’opportunità di ammirare il profilo straordinario della capitale scandinava, la famosa “Venezia del Nord”.
Per concludere, le nostre architetture devono assicurare una progressione fluida da pubblico a privato e viceversa, evitando sviluppi privati abnormi, fagocitanti lo spazio pubblico. Questa è la sfida che abbiamo affrontato con il progetto per il centro civico e culturale di Parramatta, sobborgo di Sydney; in questa realizzazione abbiamo previsto i volumi in relazione al percorso del sole per garantire alla piazza a sud un’illuminazione naturale continua: una strategia che l’ha resa fulcro di vita e centralità urbana. Il progetto ha posto grande attenzione al piano terra degli edifici prospicenti la piazza che è stato lasciato completamente aperto ad attività che non richiedessero un servizio di sicurezza, trasformandolo così in un’estensione della piazza stessa, in un luogo dove poter sedere e riposare all’ombra, leggendo un giornale o sorseggiando un caffè.
Oggi lo spazio pubblico, dovendosi confrontare con la natura privata delle nuove commissioni residenziali e urbane, diventa l’ultima roccaforte tra le sfide del nostro tempo: rappresenta il substrato di un paesaggio riscoperto, le fondamenta di nuove modalità di trasporto, la struttura che sostiene la socialità e l’interazione umana. Sullo spazio pubblico deve concentrarsi la nostra creatività, stimolandoci ad animarlo usufruendone.

2. Il laboratorio programmatico
Nell’ideazione di un progetto, la richiesta del committente è una delle “materie prime” da tener presente. Ogni incarico, oltre a porre richieste concrete e tangibili, comprende una serie di aspettative inespresse più difficili da cogliere, poiché soggettive e legate a una visione personale, non definibili da “cosa” o da “quanto”. Di ogni progetto, amo analizzare e sondare le richieste per individuare gli elementi imprescindibili, dedurne ulteriori dettagli, alcuni nascosti e altri che si manifesteranno nel tempo ma che nell’immediato, pur essendo fondamentali, non sono avvertibili. La combinazione di tutti questi elementi fa sì che determinate funzioni e soluzioni spaziali diventino parte integrante del processo progettuale, donando unicità e ricchezza alla forma urbana e alle interazioni sociali. Danno profondità al progetto, impostando nuove soluzioni sul vivere, sull’abitare e sull’appropriazione dello spazio. Garantiscono inoltre una maggiore longevità dell’intervento. L’architettura che diventa presto obsoleta è, infatti, spesso frutto di un programma univoco e rigido, che non consente l’evoluzione e non accoglie l’imprevisto.
A Montpellier, con il progetto Belaroïa, un complesso a uso misto, abbiamo accolto una pluralità di funzioni nel medesimo programma, facendo dell’architettura un luogo vivo giorno e notte. La nozione del tempo è importante; il blocco urbano è stato così trasformato in un organismo reversibile nel breve e nel lungo termine. A mio avviso, è fondamentale che ogni singolo spazio possa soddisfare le esigenze di più persone per funzioni e programmi, che sia per un anno o per un giorno. La densità - o meglio l’intensità, come mi piace chiamarla - non interessa solo lo spazio ma anche il tempo. Il salotto urbano prende tutta la sua forza da questa diversità, combinando spazi per l’ospitalità, uffici e residenze. Diventa il perno del progetto e il luogo di incontro dei vari programmi, venendo interpretato da ciascuno come estensione delle proprie diverse esigenze. Lo spazio pubblico è un’ode ai vuoti delle città, alle piazze urbane e al soggiorno delle nostre case.
Ogni progetto, deve avere una flessibilità intrinseca. La nostra realizzazione per il centro Le Forum a Saint-Louis in Alsazia illustra quanto a fondo ci siamo impegnati in cerca di un’autentica flessibilità. Ogni progetto culturale è, di per sé, un investimento oneroso e coraggioso per la città; deve dunque essere plasmabile, in grado di accogliere usi futuri che oggi non sono prevedibili. Il risultato che abbiamo raggiunto è un’architettura che ricorda un coltello svizzero: due grandi atrii, circondati da funzioni di supporto, in grado di ospitare eventi sportivi, culturali, convegni, fiere e altro.
Il nostro studio cerca sempre di offrire qualcosa in più in ogni progetto: uno spazio vuoto, di evasione e distensione, a disposizione dei residenti e dell’uso che ne vorranno fare. Nel complesso residenziale Edison Lite, a Parigi, abbiamo deciso di aggiungere una superficie pari al 20%, un ulteriore spazio condiviso - inizialmente non preventivato - destinato ai residenti, in cui fare giardinaggio, socializzare, pranzare all’aperto, fare yoga di gruppo o gare di ping pong nel laboratorio fai da te. Distribuendosi lungo tutta l’altezza dell’edificio crea una promenade tra le unità abitative, contribuendo a raggiungere uno degli obiettivi del progetto: appaiare spazi comuni e privati potenziandone la porosità. Questi spazi senza una destinazione d’uso, affiancati a quelli che hanno una precisa funzione, risultano molto più importanti di quanto appaiano. Spesso qualificati come “residuali”, sono in realtà luoghi aperti all’inaspettato, spesso poetici ma soprattutto produttivi. Diventano la sostanza da cui ha origine, in modo più o meno spontaneo, lo spazio pubblico delle nostre città.

3. Segni urbani
Traendo spunto dalle parole del filosofo francese Henri Maldiney, «gli architetti, gli urbanisti e gli ingegneri sono formalmente responsabili (o considerati tali) degli spazi che strutturano il nostro ambiente, dove entriamo in contatto con altre persone, con le cose e con noi stessi nel mondo. Misurando lo spazio, essi inseriscono l’essere umano in un ritmo che non solo governa lo scandire delle sue azioni e l’alternanza dei suoi stati d’animo, ma lo colloca all’interno di un ambito pregnante di significati».
Questa dimensione non quantificabile dell’architettura è fondamentale. È ciò che conferisce un significato vero, poiché suscita emozioni, lascia traccia nella nostra memoria. Cosa sarebbe, per esempio, il cinema senza humor, suspense o peggio ancora senza emozione? Pertanto la nostra architettura, tenendo a mente l’obiettivo di salvaguardare il pianeta, deve essere carica di significato ed ecologicamente sostenibile ottimizzando le richieste della committenza e valorizzando il contesto. L’architettura deve continuare a impreziosire le nostre città, stimolare i nostri sogni e offrirci “ripari” in luoghi di cui andiamo orgogliosi.
Lavorare su strutture esistenti crea un meraviglioso incontro tra nuovo e preesistente, come accaduto per il nostro progetto in Svezia. Abbiamo creato un’estensione dell’edificio originario firmato dagli architetti Tengbom e Salomon valorizzandolo in virtù del suo inserimento nel profilo scultoreo di Stoccolma, ottenendo un nuovo landmark urbano in posizione speculare rispetto al centro città, all’interno di un distretto fino a quel momento privo di fulcro. Questo progetto, come l’agopuntura, risveglia un luogo dormiente che, a sua volta, sta ravvivando l’intero quartiere.
Laddove il programma o il sito lo richiedono, l’architettura si assume l’incarico di creare un punto di riferimento per i residenti, un segno urbano, un simbolo della comunità. Edison Lite, con la sua copertura quasi totalmente verde, si propone come tale e, con le sue 6.000 piante nel bel mezzo di un quartiere molto costruito, dà avvio al ritorno del verde in città. Abbiamo creato e promosso questo simbolo ecologico molto prima dell’arrivo dei residenti che, una volta giunti, si sono insediati con rispetto e compostezza in questa natura rigogliosa.
“Le Forum” a Saint-Louis, in Alsazia, si ispira al contesto industriale della città, rafforzando così la propria identità e guadagnando in carisma. Il centro è uno degli snodi nevralgici della città, uno spazio comunitario multifunzionale, aperto a spettacoli, eventi sportivi, mondani, culturali, artistici ed economici. Vuole essere un incentivo allo scambio e alla condivisione che sono le forze trainanti dietro ogni creazione ponderata. Con il passare degli anni, il quartiere si era man mano riempito di un numero crescente di attività tra loro diverse che avevano compromesso il fascino della sua eredità industriale. Privato della sua storia e del suo carattere, necessitava di un nuovo punto focale, di un landmark inclusivo ed apprezzato. Il nostro obiettivo era realizzare un progetto “economico” ma anche “importante” nelle sue ambizioni: ottenere il massimo con il minimo, sviluppare un nuovo spazio comune per residenti, simile a un salotto o a una sala da gioco, un luogo dove incontrarsi, discutere e scambiare opinioni, un luogo dove fare festa, dove condividere davvero ciò che si ha in comune, che si tratti di sport, teatro, arte, dibattiti, eventi, festival letterari, concerti e quant’altro.
A Parramatta, in Australia, la finalità principale del centro Agora 2.0 era evitare di oscurare il sole, garantendo un’illuminazione naturale durante tutto l’arco dell’anno alla piazza su cui si erge la nostra architettura. Questo obiettivo ha dato al nostro edificio una forma finale del tutto inaspettata, che consente ad ogni livello della biblioteca di illuminarsi man mano, quasi fosse una successione di terrazze prospicienti la piazza. Nessuna delle costruzioni circostanti, soprattutto torri, rispetta il percorso del sole, anzi, oscura la piazza. Il nostro complesso si distingue, proclamando la sua vocazione pubblica, quale magnifico punto di riferimento urbano.

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