La petrolchimica, una delle chiavi dello sviluppo industriale italiano nel secondo dopoguerra del secolo scorso, ha lasciato sul territorio nazionale un’eredità forte, che ha modificato duramente i luoghi sui quali ha impattato. Pensiamo a Marghera, la città giardino veneziana di inizio Novecento, che è stata compromessa dalla costruzione dell’altra Marghera, quella delle raffinerie e delle infrastrutture produttive fuori scala che fanno da sfondo alla silhouette della Serenissima o ricordiamoci di altri impianti simili realizzati, sempre a ridosso di quegli anni, presso vari porti italiani. Poi c’è la situazione nell’entroterra: raffinerie che hanno trovato spazio in luoghi definiti strategici per la loro posizione ideale per ragioni logistiche, ma che hanno creato ampi conflitti con la millenaria dimensione agricola italiana. Un rapporto fatto di contrasti, quello tra le intricate strutture degli impianti petrolchimici e il territorio su cui insistono. Un inserimento forzato, ma tuttavia necessario in cui l’architettura, per il momento, ha avuto poco da dire. Lasciando parlare il linguaggio dell’ingegneria chimica divenuto di fatto forma compiuta.
A Santena la multinazionale malese Petronas ha rilevato nel 2007 gli impianti di quella che fu storicamente la Fiat Lubrificanti, creando un polo per la ricerca avanzata sugli oli destinati ai motori. Petronas, fin dalle sue origini, ha legato la sua immagine anche all’architettura - tutti ricordiamo le Petronas Towers di Kuala Lumpur progettate da César Pelli nel 2008 - e in questo lembo di terra piemontese ha voluto costruire un centro ricerche caratterizzato da una linguistica architettonica chiara e attenta al territorio, che abbandona gli schemi prettamente industriali.
Il lotto sul quale sorge il nuovo Centro Ricerche di Petronas...
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