Una conversazione su Mind Landscapes con Lu Fan, PhD, Professore presso l’Università di Tsinghua Lu Fan: Mind Landscapes è il titolo della sua mostra monografica presso l’Aedes Gallery a Berlino. Qual è il significato e il valore del termine “Mind”, mente, nei suoi progetti? Pei Zhu: Ritengo l’architettura un’arte e un processo di ricreazione, alla stregua di un dipinto, di uno spettacolo o di altre forme artistiche, non solo in quanto parte da un’origine, ma anche perché procede attraverso un processo critico e un atto creativo. Per questo motivo, “Mind Landscapes” significa per me anche “non allontanarsi troppo dallo stato di comunione mentale con la propria anima”. L’essenza dell’architettura, a mio avviso, non è riprodurre la natura bensì ricrearla. L.F.: Il suo porre l’accento su “Mind” e “Mind Landscapes” deriva dai suoi studi sulla pittura di paesaggio della tradizione cinese. Che genere di ispirazione crede di avere tratto da queste opere? P.Z.: Gli artisti cinesi non hanno mai pensato che dipingere un paesaggio fosse un atto di semplice riproduzione della realtà, ma piuttosto il frutto di una percezione, di un’esperienza e di una mediazione. Non si sono mai seduti a contemplare le montagne per poi eseguire qualche schizzo, ma le hanno esplorate, si sono immersi nella bellezza della natura per carpirne l’essenza e, una volta ritornati in studio, hanno cercato di imprimere su tela e rievocare nelle loro opere quello stato d’animo, il ricordo di quell’esperienza. L.F.: Mi ritorna in mente l’antica frase «conservare dentro di sé l’immagine dei bambù» di Tong Wen della dinastia dei Song settentrionali, il quale fissava nella propria mente l’immagine dei bambù prima di raffigurarli su carta. La sua mente fungeva da specchio del mondo esterno ma riproduceva anche il suo mondo interiore. Di conseguenza, le sue opere erano sì raffigurazioni reali della natura, ma anche una riproposizione della sua sensibilità spirituale. P.Z.: Preferisco prendere come riferimento i dipinti di paesaggio di Kao K’o-kung, della dinastia Yuan. È difficile identificare i corsi d’acqua e le montagne da lui raffigurati, ma si percepisce l’abilità con cui controllava il ricordo e l’esperienza nell’interpretare la natura nelle sue opere. L’architettura dovrebbe essere intesa allo stesso modo: gli architetti devono ricostruire la natura partendo dalle sue origini; questo è il messaggio principale dei miei progetti presentati all’Aedes Gallery. L.F.: I progetti da lei selezionati per l’esposizione, nonostante la matrice stilistica fortemente eterogenea, condividono una coerenza intrinseca che va al di là delle variazioni formali. Il suo modus operandi inizia con un’analisi dettagliata del contesto, andando poi a evincere l’essenza del progetto e a concretizzarla in una forma essenziale, che dà vita a un’architettura puntuale. P.Z.: I cinque progetti in mostra all’Aedes sono inseriti in altrettanti contesti distinti e, di conseguenza, le architetture differiscono tra loro in larga misura, mantenendo però ben salda una linea comune, ovvero la raffigurazione astratta di tempo, materia e percezione, che è il tema della mia ricerca. Al giorno d’oggi, molti musei non hanno alcuna relazione con il loro sito. Hanno perso aderenza con la storia e il luogo, poiché privi di radicamento. Lo spazio museale può contenere porcellane o aeroplani, ma può anche rimanere vuoto. Per il museo della ceramica di Jingdezhen, l’Imperial Kiln Museum, siamo partiti dalle fornaci, astraendone la forma, in quanto unità base della città: le fornaci venivano costruite per produrre porcellana, poi venivano affiancate da opifici per incrementarne la produzione e vicino a questi, infine, si sviluppavano le abitazioni. In quanto meta migratoria, il prototipo di Jingdezhen era formato da una gemmazione di forni che, assieme a laboratori e quartieri abitativi, sono diventati nel tempo l’impalcatura urbana, entrando a far parte dell’immagine e della memoria della città. Nelle regioni a sud del Fiume Azzurro, i forni sono anche fonte di calore durante l’inverno: quando il clima si fa più rigido i bambini prendono un mattone e lo ripongono nello zaino, gli anziani e le donne vi si recano per svolgere i loro lavori al tepore e stendere i panni. Sono tanti i luoghi della memoria che il forno incarna e rievoca. Parte da qui l’idea di riprenderne non solo le geometrie, ma di evidenziare anche quella memoria collettiva. Era necessario rispettare questo rapporto di coesistenza, rispecchiarlo e reinterpretarlo; abbiamo proceduto per astrazione, traducendo la volumetria in nuove forme e disponendole assieme, senza barriere fisiche, connettendole con l’intersezione di spazi e l’inserimento di cortili verticali. L’esperienza spaziale di quest’architettura sarà familiare e insolita, rievocando il ricordo di camminare tra le fornaci ma creando al contempo una nuova percezione fisica e visiva. Il centro di arti performative Yang Liping parte, invece, da una situazione antitetica. Quando ci siamo approcciati al progetto con l’idea di progettare uno spazio relativamente ampio e moderno non avevamo referenze architettoniche della minoranza Bai o della popolazione di Dali a cui ispirarci. Ci sembrava una forzatura limitarci a una semplice riproposizione a scala maggiore delle strutture abitative e dei padiglioni. Abbiamo così deciso di esplorare il contesto naturale di Dali, città storicamente poco edificata con un centro storico di soli 4 km quadrati e il resto del territorio costituito in gran parte da rilievi e colture; una città diversa dagli insediamenti settentrionali più sviluppati che presentano una griglia urbana consolidata dove viene condotto un corretto stile di vita confuciano. Le attività quotidiane sono svolte in maggioranza in campagna, all’aperto, accompagnate da canti e balli. Gran parte degli spettacoli sono anch’essi in spazi esterni e il pubblico si sposta tra ambienti coperti e non; credo sia un riflesso del clima e della cultura della città. Di conseguenza, l’architettura da noi proposta trae spunto dalla morfologia collinare, con forme astratte e materiali reperibili all’interno del contesto. Le performance si svolgeranno a partire dall’esterno per assistere poi al resto dello spettacolo sotto una copertura naturale. Per il centro artistico e culturale Shou County a Shijingshan, vicino a Pechino, abbiamo catturato l’essenza della tipologia insediativa primordiale del luogo. Le strade, i vicoli e le corti della città vecchia della contea di Shou formano un reticolo molto stretto che crea zone d’ombra durante il periodo estivo. Il centro da noi progettato prevede quattro programmi principali - museo, galleria d’arte, biblioteca e archivio - che si sviluppano attorno a uno o due patii ciascuno, connessi tra loro da lunghi percorsi a fruizione pubblica. È un’architettura completamente permeabile, aperta al pubblico. Non abbiamo fatto ricorso né alla scala delle costruzioni tradizionali locali, né alle tipiche pareti bianche o tegole nere; tuttavia, quando le persone camminano nei patii e lungo i percorsi di collegamento, rivivono l’esperienza del reticolo stradale della città vecchia. Abbiamo studiato e assimilato lo stile architettonico tradizionale, rielaborandolo secondo i dettami della vita moderna, tenendo in considerazione la cultura e il clima di Shijingshan. La Cina è un Paese molto vasto, con insediamenti di tipo diverso nelle varie zone. I cinque progetti in mostra, tuttavia, sono tutti accomunati dalla stessa caratteristica: cercano di catturare la specificità del contesto riportandone in luce il punto di partenza, l’origine. L’origine non è apparenza formale, né linguaggio simbolico; è un principio costruttivo plasmato dalla cultura e dal clima del luogo. Una volta adottato questo principio, è possibile costruire.
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