Nella bruma che avvolge le colline e le vigne della Valle di Casablanca in Cile, appare il profilo di Casa Mirador, semplice e brutale come l’architettura rurale, ma al tempo stesso lontana ed estranea dalla terra in cui nasce.
Due volumi grezzi e materici ne delimitano uno vetrato al centro; il tetto, monolitico e piramidale, archetipo di coperture antiche, unisce e raccoglie sotto di sé ogni parte.
Le pareti in cemento grezzo e le linee nette ed essenziali avvicinano casa Mirador alla collina su cui poggia e ai colori della natura: quasi come se le superfici riflettessero l’atmosfera circostante, il volume sembra ogni volta confondersi e mescolarsi con le sfumature del territorio.
Ma è lo spazio progettato che la circonda e la sua silenziosa introversione che la allontanano e la distaccano dalle vigne. Uno spazio ellittico intorno alla casa, di pietre e arbusti, costituisce un filtro che separa lo spazio di lavoro (e di fatica antica) da quello dell’abitare e del contemplare.
L’introversione, la netta separazione tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori, aumenta ed evidenzia questa frattura. Gli spazi vissuti ed abitati sono compresi all’interno dello spesso muro di cemento, dove le stanze si alternano offrendo esperienze molteplici e sempre diverse.
L’accesso avviene attraverso un patio ombreggiato dalle alte pareti che lo dividono dal resto della collina; l’area living, intima e raccolta incornicia il paesaggio con una finestra a nastro e permette l’accesso alla sala degustazione. Un lungo e massiccio tavolo di cipresso corre parallelo alla parete interamente vetrata che si apre sui vigneti. Esposta a sud, la cucina è in parte ipogea e in parte rivolta verso il paesaggio, simmetrica ed opposta alla sala da pranzo all’ingresso.
L’ultima stanza è il patio o quincho, delimitato da un antico albero di ulivo e dal panorama...
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