Chi sono i giovani architetti? Verrebbe da dire coloro che non hanno superato trentacinque anni. O, al massimo, i quaranta. Un’età in altri tempi sufficiente per ottenere incarichi di notevole importanza. Renzo Piano, Richard Rogers e Jørn Utzon lo dimostrerebbero. Ma la risposta non è così semplice. Oggi, a causa della scarsità di occasioni professionali, si parla di giovani architetti anche sopra i quaranta anni. Come pare suggerire l’annuario di Casabella dedicato alle nuove proposte che ha spostato la soglia sino ai cinquanta, salvo togliere dalla copertina, per ovvie ragioni, qualsiasi riferimento a scelte generazionali. Trentacinque, quaranta o cinquanta? La questione potrebbe apparire oziosa, e per molti versi lo è. Ma, come accade, dietro tutte le domande oziose si nasconde un problema che ha, invece, un notevole interesse. È quello di capire se esistano o meno atteggiamenti comuni che caratterizzerebbero alcune fasce d’età rispetto ad altre. A mio avviso queste differenze esistono. Anche se ovviamente vanno trattate con buon senso, lo stesso che permette agli storici di essere consapevoli dell’arbitrarietà nel separare due epoche attraverso un fatto chiave o di classificare un autore in un universo stilistico o in un altro a seconda della sua data di nascita o di quella in cui è pubblicata una sua opera. Avendo in mente questa avvertenza, possiamo affermare che la generazione che oggi ha tra i quaranta e i cinquant’anni si era caratterizzata per aver tirato fuori l’architettura italiana dalle secche del postmodernismo nella sua versione locale, la Tendenza, immettendola, sia pure con contraddizioni, tentennamenti e qualche ripensamento nell’alveo dell’architettura europea: si pensi per esempio all’opera di studi così diversi quali Boeri, Cucinella, Archea, 5+1AA, Zucchi, Ian+. Aveva poi goduto dei benefici del clima di dopo-tangentopoli. Quando molte amministrazioni, soprattutto Comuni del nord est e del nord ovest, avevano sentito un bisogno di...
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