Per descrivere il progetto della cantina L’Ammiraglia recentemente completato a Magliano in Toscana, Piero Sartogo e Nathalie Grenon parlano di “un lembo di terra” che è stato sollevato “per aprire una sottile e longilinea fessura nel declivio naturale del terreno”. La cantina, infatti, si inserisce all’interno della collina, con il risultato che i suoi oltre 3.000 metri quadri, molti dei quali occupati da strutture per la produzione del vino, cioè da una complessa articolazione di attrezzature in acciaio inossidabile o in ferro zincato, scompaiono alla vista, o meglio, si lasciano appena intravedere, per mostrarsi in quello che è il loro aspetto più interessante e quindi più piacevole. In un territorio quale quello toscano, segnato da un incantevole paesaggio agrario, le scelte insediative sono limitate e comunque molto rischiose, come testimoniano cantine non lontane, tra queste anche una di Renzo Piano che, nonostante la abilità dei progettisti a dialogare con il contesto circostante, sollevano alcune perplessità sulla felicità del loro inserimento. Altre invece, penso per esempio a un progetto in corso di realizzazione nel Chianti dello Studio Archea, fondate su una logica ipogea, mostrano oltre a un più riuscito approccio contestuale, inaspettate valenze architettoniche. Perché queste valenze emergano, la scomparsa dell’edificio deve essere più messa in scena che prodotta realmente, deve diventare il pretesto per una strategia architettonica che invece di puntare sugli elementi della massa, del volume e della luce, lavori su altri, per esempio sui piani e sui contrasti d’ombra. E che non esiti a produrre, accanto alla regola della mimetica aderenza al contesto, una serie di eccezioni che tale regola siano in grado di contraddirla e, così paradossalmente e per contrasto, di esaltarla. La prima di queste eccezioni messe in gioco da Piero Sartogo e da Nathalie Grenon è il terminale del grande tetto giardino, che aggetta e culmina con un rivestimento in lamiera di...
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