Possiamo vedere la casa unifamiliare e la palazzina per abitazioni, entrambi realizzati a Trani da Massimo Alvisi e Junko Kirimoto come due esempi, rari nel Sud Italia, di quella buona architettura che produce edifici contestuali senza abdicare alla contemporaneità e, così facendo, evita di incagliarsi nelle secche del così detto stile mediterraneo, cioè di un atteggiamento romantico e regressivo purtroppo oggi sempre più diffuso, soprattutto dalle facoltà di architettura meridionali, che porta alla realizzazione di oggetti ridicoli e caricaturali. Le due opere di Alvisi e Kirimoto, invece, grazie al loro aspetto sobrio e rigoroso, si caratterizzano innanzitutto in negativo. Perché sono immuni dalle allusioni metafisiche che richiamano alla mente la classicità greca o, peggio, un certo spirito arcaico presente in alcune costruzioni lungo le coste del mediterraneo. Perché negano il decorativismo e il pittoresco della maiolica colorata e dei disegni barocchi ripresi, magari in punta di matita, dalle facciate di qualche edificio storico. Perché evitano di ricorrere alla semplificazione e alla banalizzazione tecnologica demagogicamente giustificata dalla necessità di dover costruire per una società ancora fortunatamente arretrata e quindi, non si sa per quale ragione, più vicina all’essere delle cose, al logos. Sondano, invece, tre problematiche inevitabili in un contesto meridionale. Come affrontare in maniera originale la dialettica tra ciò che deve essere opaco e ciò che può essere trasparente, cioè tra muro e vetrate, consci che in un ambiente dove dalla luce e dal sole occorre proteggersi, non è possibile adottare strategie di dissolvenza che, invece, sono auspicabili in climi nordici. Si interrogano come puntare sulla dialettica tra la compattezza della massa muraria e la leggerezza di strutture mobili ed aeree in grado di interagire con il variare delle situazioni ambientali. E, infine, si chiedono quali strategie adottare per dialogare con l’ambiente...
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