Essere il coautore, con Gae Aulenti, della Gare d’Orsay a Parigi, è stato per Italo Rota una benedizione e una condanna. Una benedizione perché non capita tutti i giorni di essere coinvolti in una impresa tanto importante. Una condanna perché la Gare d’Orsay è un pasticcio architettonico: un intervento museale decisamente postmodern, in bilico tra un’ironia che non riusciva a convincere e un neomonumentalismo da dolce di marzapane. Sono seguiti rilevanti allestimenti museali tra i quali quelli al Louvre, progetti urbani a Nantes e interventi di interior, per esempio per il casinò di Lugano. Ma il non comune talento di Rota, a mio avviso, è emerso solo recentemente con le mediateche che ha realizzato ad Anzola dell’Emilia e poi a San Sisto, Perugia: due tra le cose migliori costruite in Italia negli ultimi anni. Complementari perché ciascuna, pur ottenendo il medesimo risultato, gioca su un diverso registro formale. Anzola sulle linee rette, sui prismi che in forma di ambienti si incastrano gli uni negli altri, San Sisto sulla linea curva, fino a sembrare un disco volante nel cui interno gli spazi sono concatenati da vuoti studiati ad hoc per favorire la comunicazione tra le parti e per permettere una ottimale diffusione della luce, soprattutto quella proveniente dall’alto. In entrambi i casi gli spazi sono accattivanti, con un effetto che si potrebbe definire domestico: siamo, infatti, lontani dalle biblioteche intimidenti del passato, scandite da anonime sale di lettura e caratterizzate da file di tavoli disposte secondo un perfetto ordine geometrico. Ad Anzola e a San Sisto ogni utente è messo in condizione di cercare tra gli scaffali ciò che gli serve per consultarlo dove gli pare. E a predominare è quella logica dell’empatia tra corpo e ambiente costruito che ha permesso nei paesi del Nord Europa di realizzare edifici incantevoli, mentre noi giravamo a vuoto negli algidi scatoloni gerarchici e da collegio militare ideati dai vari Aldo Rossi, Giorgio Grassi e...
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