Ci sarà pure una ragione per cui scienziati di diverse discipline, per determinare, o almeno cercare di determinare, un concetto astratto come quello del tempo preferiscono ormai a gravitazioni terrestri e/o fasi lunari, vibrazioni di cristalli di quarzo e altre anticaglie, la straordinaria indeterminatezza della luce e dell’impercettibile sua vita segreta. Tra tutte le minuziose, recenti definizioni delle unità di tempo, quella più abbagliante, che più sembra aver a che fare con i nostri problemi di progettisti è forse il femtosecondo (un milionesimo di miliardesimo di secondo): in duecento di queste unità di misura del tempo (se così si può ancora chiamare l’infinitesima parte di un istante) la luce interagisce con i pigmenti della retina, permettendoci così di vedere, dunque d’interpretare, il mondo.
Senza luce, ovvio, il mondo non esiste, o meglio esiste come può percepirlo un cieco, per solo apprendimento intellettuale: proprio il metodo peggiore e più ricco di pericoli con cui accostarsi all’esistenza, come dimostra la scarsa espressività del progetto contemporaneo fondato su una non più sostenibile elucubrazione mentale... Cosa ad esempio dell’autentica magia naturale si riesce a interpretare nel disegnare la luce artificiale per gli spazi del nostro vivere? Poco o niente. Principalmente impegnati a costruire il proprio piccolo monumento alla memoria con mattoni formati da tanti oggetti, interni, edifici, la maggioranza degli architetti (e dei designer) in genere si preoccupano soprattutto che la forma della “lampada” corrisponda minuziosamente al loro stile, qualunque esso sia. La meraviglia ricercata non è quella della luce, ma del suo contenitore: come dire che solo da una bella pentola possono uscire cibi squisiti.
Così anche un’architetto abile e navigata come Zaha Hadid, nel disegnare la scultura luminosa Vortexx per la sua grande retrospettiva al Guggenheim Museum di New York, si limita a inglobare una luce non meglio identificata...
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