Come parlare del recente Salone del Mobile di Milano? Per organizzare le impressioni che mi galleggiano in mente, quasi come sugheri, senza trovare un punto fermo, adotterò le “Misurazioni” di Filippo Tommaso Marinetti (Vallecchi, Firenze, 1990): un tipo di recensione messo a punto dal padre del futurismo nel periodo (1926-28) in cui fu titolare di una rubrica di critica teatrale sul giornale “Impero”. Marinetti divideva il pezzo in sette sintetici capitoletti: autore, concezione, trama, trovate, esecuzione, scenografia, pubblico. Seguirò il medesimo schema, adattando le categorie alla tematica design, tentando di dare ordine alle valutazioni, ancora non digerite.
Iniziamo dagli autori, cioè dai designer, protagonisti assoluti di questa kermesse milanese, corteggiati ed acclamati dal popolo del design (addetti, giornalisti, cultori della disciplina, curiosi) quasi fossero star sulla Croisette. Palma d’oro a Marcel Wanders e Patricia Urquiola, d’argento a Naoto Fukasawa e a Jean-Marie Massaud. Molto gettonato anche Ron Arad, persente sia da Moroso, che da Driade, sia come nume tutelare degli studenti del Royal College in mostra da Internos con l’installazone Living Space.
Marcel Wanders e Patricia Urquiola sono responsabili della temperatura di questo Salone in preoccupante ascesa verso la decorazione.
Il nuovo antico (Cappellini e Moooi) dell’accattivante designer olandese, nato con i Droog design, promotori di un “design secco”, più di idee che di forme, ma ormai lontano da quell’utopia, non è poi così dissimile dal lavoro dei decoratori classici, che erano considerati estranei all’universo del design. E Patricia Urquiola, onnipresente (ha disegnato per Moroso, stand compreso, per B&B, Kartell, Paola Lenti, Molteni, Foscarini) cui va riconosciuto il merito di aver femminilizzato il design, introducendovi una calda nota autobiografica, rischia di trasformare i progetti di design in lavori a crochet. Tord Boontje, altro grande interprete...
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