Sembra un ragazzo, anche se ha quarantasette anni (è nato il sei ottobre, lo stesso giorno di Le Corbusier e ci tiene a dirlo) e i primi fili bianchi nei capelli diradati. Di un ragazzo ha gli entusiasmi e l’incoscienza, cioè quell’attitudine generosa a buttarsi a capofitto in progetti utopici con i quali vorrebbe, non certo cambiare il mondo, ma almeno il metodo del design, spostando l’attenzione dal mercato ai reali bisogni della gente. Come un ragazzo non si risparmia. Vive a Vicenza, la sua terra d’origine, e ha lo studio a Milano dove lavorano una ventina di collaboratori. Quasi tutte le sere, quando non è in giro per il mondo, a Shanghai, ad esempio, dove disegnerà con il suo gruppo di lavoro gli arredi urbani, torna a casa per stare con la moglie e il figlio. La fatica sembra non pesargli e trova il tempo per ricordarsi degli amici. Conosce tutti quelli che contano nel mondo del design, ma è cordiale anche con quelli che non contano. Chi è stato al suo matrimonio sa che è una persona speciale e forse capisce meglio il suo design, perché l’umore dei suoi progetti è come quello della sua festa di nozze. Quella festa, che non si può dimenticare, l’ha voluta fare nel giardino del Paolo Pini, l’ex ospedale psichiatrico di Milano. C’era la banda latino/americana, c’era il corteo nuziale sotto il baldacchino di canne e di tela, c’era il rinfresco preparato dalla cooperativa degli Shrilankesi di Milano. Ma soprattutto c’era una buona atmosfera: non rito mondano, ma vera amicizia e solidarietà, magari inconsapevole per le iniziative dell’Associazione no profit Olinda di cui Aldo faceva parte e per cui aveva progettato, strappando ore cruciali al suo frenetico lavoro, il bar Jodok gestito dai malati. Tutti quelli che erano alla sua festa in qualche modo capirono che la generosità del tempo è una delle più preziose. Come un ragazzo, del suo tempo è prodigo. Ama trascorrerlo in chiacchiere per raccontare visioni e ambizioni. Per rammentare i progetti rimasti nel...
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