All’angolo tra due strade nel cuore di Ginza, il quartiere dell’alta moda di Tokyo, uno scintillante velo argentato si dispiega per un’altezza di dieci metri dietro una facciata vetrata, illuminando lo spazio urbano tutto intorno e mettendo in risalto le collezioni di gioielleria esposte in vetrina: è la boutique del marchio di diamanti Graff, progettata dallo studio di interior design Curiosity. La passione per i giochi di trasparenze e per tutto ciò che appare misterioso – per poi rivelarsi sorprendente – è uno dei tratti distintivi degli spazi ideati dal designer francese Gwenael Nicolas, che ha fondato Curiosity nella capitale giapponese alla fine degli anni Novanta.
Il nuovo flagship store di Graff, il decimo che il marchio londinese apre in Giappone, è tra i progetti più recenti dello studio, che qui propone un innovativo concetto di retail, basato su un’esperienza di acquisto personalizzata. Entrando nel negozio, i visitatori vengono avvolti da un’atmosfera sofisticata ed elegante, definita dall’interazione di un’illuminazione soffusa con una palette di colori chiari. Una scala a spirale in legno conduce poi al livello superiore, dominato dal colore verde, identificativo del brand, che viene qui reinterpretato su pavimenti e rivestimenti in pietra con finitura lucida. La boutique si sviluppa lungo una sequenza di sale dove i gioielli firmati da Graff dialogano con creazioni artigianali, come la carta washi, realizzata dagli artigiani avanguardisti di Wajue, e le celebri stoffe di Hooso, da Kyoto. Nel negozio sono inserite anche due opere dell’artista giapponese Junko Mori, oltre a un grande paravento realizzato con decorazioni in foglia d’oro da Hakuichi, il maestro artigiano di Kanazawa, e un bassorilievo dell’artista francese Jane Puylagarde.
Opere d’arte moderna si trovano anche all’interno della boutique di Versace in rue Saint Honoré a Parigi – Medusa Arcade – dove protagonista è l’installazione in vetro a soffitto, disegnata ispirandosi al motivo barocco tipico della casa di moda italiana, che crea una serie di riflessi sulle superfici in marmo bianco venato grigio che rivestono lo spazio commerciale. Entrambi i negozi rivelano come l’approccio progettuale di Curiosity si basi sulla ridefinizione dei confini tra design di interni, architettura e design industriale, per lavorare su nuovi materiali e prodotti in sinergia con la committenza e i fornitori, partendo dall’idea che ogni progetto sia come un profumo: una combinazione unica di essenze, da scoprire una dopo l’altra. La ricercatezza e il lusso di queste due boutique lascia così il posto a un concept futuristico e tecnologico nel negozio del marchio di streetware Hipanda lungo il viale Omotesando a Tokyo: una vera e propria ghost house che fonde mondo fisico e digitale, in cui è possibile immergersi in una nuova realtà, che abbatte le barriere culturali, anagrafiche e di genere.
La creatività di Curiosity non si esprime però soltanto nei progetti di retail: lo studio include infatti nel suo portfolio anche lavori in altri settori, come quello dell’hospitality. Tra questi c’è l’Hotel Sorano nella città di Tachikawa, non lontano dalla capitale giapponese. La struttura, che sorge in adiacenza allo Showa Kinen Park, definisce un lifestyle basato sul benessere, non solo con l’offerta di diverse aree dedicate come spa e piscina, ma anche attraverso il progetto degli interni, a iniziare dall’iconico spazio che collega l'ingresso alla lobby, disegnato come una tenda, a evocare un viaggio nella natura, catturando dentro l’architettura il verde che la circonda.
INTERVISTA
Gwenael Nicolas, fondatore e direttore creativo Curiosity
Protagonista del nuovo store di Versace a Parigi – Medusa Arcade – è l’installazione in vetro a soffitto, ispirata al motivo barocco che caratterizza Versace. A partire da questo elemento fortemente identificativo, realizzato su misura, può raccontare come Curiosity lavora per ridefinire i confini tra architettura, progetto degli interni e design di prodotto?
Curiosity si occupa non solo di architettura e interior design, ma anche di design di prodotto, per cui curiamo il progetto nei minimi dettagli. All’inizio di ogni lavoro, penso a come cogliere l’opportunità di ideare e sperimentare qualcosa di nuovo, dunque mi chiedo con quale fornitore potrei collaborare per dare vita a qualcosa che non ho mai realizzato in precedenza, perché sono sempre mosso dal desiderio di esplorare nuove tecnologie. Il progetto di interior consiste in gran parte nella definizione di nuovi elementi e nel negozio di Versace a Parigi, Medusa Arcade, volevo introdurre un nuovo concetto di chandelier. Il mio approccio progettuale parte dall’idea di superare l’immagine tradizionale di una sedia, una porta o una parete, ridisegnandola in un processo di reinterpretazione della realtà. Ho compreso appieno l’importanza dei soffitti come elementi di design grazie allo stilista Domenico Dolce: quando ho iniziato a progettare le boutique di Dolce & Gabbana, gli chiesi come mai inserisse sempre un chandelier in tutti i loro negozi e mi rispose che, pensando alle ville siciliane in cui era stato, si ricordava sempre del lampadario a soffitto più che dell’abitazione in sé. Così, nel negozio di Versace ho immaginato di prendere un lampadario ed espanderlo su tutto il soffitto, disegnando come sempre un prodotto su misura. L’installazione in vetro sembra in un primo momento caratterizzata da un design minimalista, ma quando ci si avvicina si coglie la complessità del motivo barocco che la caratterizza. Questo è il modo in cui sviluppo un progetto, attraverso una tensione tra due poli che innesca un processo di scoperta continua.
Il concept del progetto per l’Hotel Sorano a Tachikawa propone uno stile di vita basato sul benessere. Quanto è importante mantenere le persone al centro del processo di progettazione?
È molto importante progettare partendo dal punto di vista dell’utente, cioè da quello che le persone vedono, sentono e ricordano di un posto. Io vengo dal mondo del retail: quando si passa davanti a un negozio all’interno di uno spazio commerciale, bisogna riconoscerlo immediatamente per essere attirati all’interno. Una volta entrati, ci sono una decina di secondi in cui ci si rende conto, con un senso di sorpresa e meraviglia, di come è fatto in realtà lo spazio che si era immaginato dall’esterno. Poi si passa da questo momento emozionale a un altro più funzionale in cui si iniziano a scoprire i prodotti in vendita. Lo stesso vale per un hotel, di cui si esplorano uno dopo l’altro gli spazi e i servizi, in questo caso con un tempo più lungo poiché è un posto dove si resta per almeno una notte. Quindi lo stesso luogo deve essere progettato per una successione di intervalli temporali, che nel caso di un negozio si fermano dopo dieci minuti, mentre in un albergo si arriva a dieci ore. Possiamo dire che in realtà io non progetto lo spazio, ma il tempo.
Giochi di trasparenze, colori emozionali e forme attrattive sono al centro dell’approccio progettuale di Curiosity. Particolarmente rappresentativo in questo senso è il progetto per il complesso Opus Arisugawa Terrace & Residence in centro a Tokyo. Può spiegarci meglio il suo lavoro su queste caratteristiche distintive?
Quando sono arrivato in Giappone, ho sperimentato un profondo cambiamento nella maniera di sviluppare un progetto: qui si parte da quello che succede in un certo momento e in un determinato posto per poi allargare lo sguardo, mentre in Europa si fa il percorso inverso, dalla scala globale a quella di dettaglio. Nella concezione giapponese, il designer si trova al centro e immagina di creare una spirale attorno a sé, iniziando dalla scelta dei materiali, per passare allo studio della luce, poi alla definizione delle proporzioni e così via. In seguito, si pensa alla scena che l’utente si troverà di fronte quando entrerà nello spazio, utilizzando la sua memoria degli oggetti di arredo tradizionali, per sorprenderlo con un nuovo elemento che non si aspetta, come in un gioco di magia. Il 90% della mia concezione progettuale è basata sui ricordi delle persone e il restante 10% è semplicemente qualcosa di diverso. Lavoro rimuovendo quella che è l’immagine attesa di un divano o di un tavolo, cambiandone forma, dimensioni e colori. Si tratta di realizzare un prodotto che nasce da un’idea differente rispetto a quella proveniente dal proprio contesto, un po’ come quando a tavola si impara a utilizzare le bacchette al posto delle posate. Il mio obiettivo non è quello di attuare una rivoluzione, ma di innescare un’evoluzione dell’essere umano: quando propongo un’idea progettuale alla committenza, mi concentro sul suo sviluppo futuro, più che sulla sua origine o ispirazione.
La facciata vetrata, percorsa da un velo metallico scintillante, che caratterizza il flagship store di Graff a Tokyo lascia intravedere il negozio, nascondendolo e rivelandolo al tempo stesso. Quale ruolo riveste la relazione con lo spazio esterno in un progetto di interni?
Amo tutto quello che è misterioso, semitrasparente e leggero. La maglia metallica posata dietro la vetrina della boutique di Graff movimenta la facciata con un gioco di riflessi, quasi come quelli creati della luce su uno specchio d’acqua, generando un’interazione con le persone che passeggiano lungo la strada. In un mondo tradizionale come quello del retail di lusso, è una vera sfida proporre un progetto che favorisca questa interazione. Qui è come se la facciata vetrata scomparisse mettendo in comunicazione diretta lo spazio esterno con quello interno. È un prospetto dal carattere industriale, per via della struttura metallica, e allo stesso tempo sofisticato, in un bilanciamento che nella mia visione definisce l’essenza di uno spazio dedicato al retail di lusso.
Completamente differenti sono gli interni del negozio del marchio di abbigliamento Hipanda a Omotesando, dove la realtà aumentata incontra un interior design futuristico. Pensa che il concetto di phygital, la commistione tra fisico e digitale, rappresenti il futuro del progetto di retail?
No, è soltanto il punto di partenza. Di solito il digitale rappresenta una parte separata all’interno di un progetto, ma gli ambienti non sono disegnati per il mondo digitale, mentre lo spazio stesso deve essere concepito in quest’ottica. È questo che ho cercato di fare nel negozio di Hipanda: entrando all’interno, sembra di trovarsi dentro a un universo digitale, racchiusi in uno spazio disegnato con due soli colori – bianco e nero – privo di ombre e delimitato da un pavimento a specchio e da un soffitto percorso da strisce luminose. Perciò quello che si vede negli schermi si fonde con gli spazi stessi del negozio, rendendo impossibile distinguere il reale dal digitale e creando una nuova dimensione. Il progetto per Hipanda è il risultato di un lungo lavoro di studio e sperimentazione, poiché è molto complesso disegnare uno spazio che ancora non esiste. In effetti, la metà dei progetti su cui lavoro sono progetti di ricerca, che sviluppo in anticipo in modo da essere pronto quando arriverà la committenza, perché altrimenti manca il tempo da dedicare al processo creativo. Il designer è colui che propone un’idea nuova, che sia sostenibile ed ecologica: per questo deve accompagnare la committenza fin dall’inizio del progetto.
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