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Jouin Manku: design dinamico e multiculturale a Parigi

Jouin Manku

Jouin Manku: design dinamico e multiculturale a Parigi
Scritto da Redazione The Plan -

Lo studio Jouin Manku nasce a Parigi una quindicina di anni fa dall’incontro tra le esperienze professionali di Patrick Jouin e Sanjit Manku. I due designer hanno dato vita a una collaborazione sui generis, inventando un mestiere al crocevia tra la produzione industriale e la tradizione artigianale, che vede in ogni progetto l’occasione per riproporsi elaborando una concezione sempre nuova. Questo laboratorio creativo dedicato alla progettazione degli interni lavora in stretto contatto lo studio Patrick Jouin ID, che si occupa più nello specifico di disegno industriale. Proprio l’abbattimento dei confini tra architettura e design, tra spazio e prodotto, è uno dei tratti distintivi della filosofia di Jouin Manku, basata su una visione olistica del progetto, di cui viene curato ogni aspetto a tutte le scale, dall’altezza dei soffitti alle maniglie delle porte.

Nel caso dell’ampliamento dell'Hotel Les Haras a Strasburgo, la sfida principale è stata quella di mantenere un senso di unità passando da un edificio all'altro. L’intervento riguarda infatti la creazione di una spa, diverse sale riunioni e 60 nuove camere all'interno di un palazzo del XIX secolo, che un tempo ospitava una clinica e sorge proprio dall’altra parte della strada rispetto all’ex scuderia reale, oggi sede dell’hotel. Jouin Manku, che aveva già lavorato al progetto degli interni dell’albergo e del suo ristorante stellato, ha risolto il tema attraverso la riqualificazione di un vecchio tunnel abbandonato che collega i due edifici, in modo da garantire continuità tra la parte esistente e l’ampliamento. Se il design contemporaneo dei nuovi ambienti si pone in contrasto con la maestosità classica della facciata, il progetto degli interni propone una serie di sottili rimandi al mondo equestre, evidenti anche nella scelta di materiali come il legno e il cuoio, oltre a riferimenti visivi alla medicina cinese e alla fitoterapia. Gli spazi del centro benessere, che includono piscina, sauna, bagno turco, doccia emozionale e area relax, puntano a creare un contesto avvolgente, che accompagna gli ospiti in un viaggio sensoriale di quiete e relax.

Anche nella boutique parigina di Van Cleef & Arpels in Place Vendôme, Jouin Manku è intervenuto su un progetto già curato dallo studio, aggiungendo un nuovo spazio su due livelli al di sopra di quello principale al piano terra, che è stato rinnovato. Mantenendo il concept di base, con pareti in gesso scolpito e boiserie in legno intagliato, gli interni sono stati ripensati rendendoli più aperti e aggiungendo nuove funzionalità ed esperienze, come in un museo che metta in esposizione profumi, gioielli e orologi. Completamente differente è il contesto esotico dell’hotel La Mamounia a Marrakech, per il quale Jouin Manku ha rinnovato le aree comuni, progettando diversi spazi tra cui due ristoranti e una sala da tè, caratterizzati da un design contemporaneo che non altera il fascino tradizionale del leggendario albergo marocchino. Lo studio opera anche nel settore nautico, sempre reinterpretando il contesto storico con un design capace di unire continuità e rottura, come succede negli interni della nave da crociera Celebrity Edge. Fulcro del progetto è il Grand Plaza, una piazza più che una sala, che ospita diversi ristoranti e si sviluppa su tre ponti nel cuore della nave. Questo spazio, ispirato ai giorni glamour dei viaggi transatlantici, è dominato dallo spettacolare lampadario “The Chandelier”, installazione artistica a cui è affidata l’illuminazione del salone.

Intervista

Tradurre i sogni in realtà

Patrick Jouin e Sanjit Manku
Fondatori Jouin Manku

Non vi definite né architetti né designer: quali sono le caratteristiche che ognuno di voi apporta al vostro lavoro e ai progetti dello studio?
Lavoriamo insieme da tanto tempo. Quello che abbiamo veramente cercato di fare fin dall’inizio, ognuno a partire dalla propria formazione, è creare momenti speciali per le persone, realizzare qualcosa che ancora non esiste al mondo. Ci siamo sempre chiesti come rendere straordinari i momenti ordinari, dalla cena al percorso verso la stazione per prendere il treno. Per fare questo non devono esserci confini tra architettura e design oppure tra profumi e suoni. Per ottenere qualcosa che colpisse davvero emotivamente le persone, sapevamo di non poter mantenere le barriere che di solito sono presenti nella maggior parte delle professioni che esercitiamo. Sanjit Manku ha studiato architettura con una tesi finale nell’ambito del disegno industriale, mentre Patrick Jouin ha studiato design ma nella tesi si è occupato di architettura. Non ci siamo mai sentiti a nostro agio con l’idea di rivestire soltanto l’uno o l'altro ruolo. Lavoriamo in una maniera molto fluida, come due jazzisti che suonano insieme improvvisando e arrivando a risultati che nessuno di loro avrebbe potuto immaginare prima.

Prendendo come esempio l’ampliamento dell’Hotel Les Haras, potete descrivere quali sono i passaggi principali in cui si articola il vostro processo creativo?
Innanzitutto, cerchiamo di coniugare i sogni del committente e la realtà del luogo, mescolandoli con la nostra intuizione. In questo progetto, il cliente è il professor Jacques Marescaux, specialista in microchirurgia e presidente dell'IRCAD (Istituto di ricerca contro i tumori dell'apparato digerente), che ogni anno tiene corsi di formazione per migliaia di chirurghi provenienti da diversi Paesi. A un certo punto ha avuto l'idea di costruire un albergo invece di affittare ogni volta stanze in tutta Strasburgo per ospitare i medici che frequentano i suoi corsi. È così che l’ex scuderia reale vicino all'ospedale universitario si è trasformata nell'Hotel Les Haras. In seguito, il professor Marescaux ha voluto ampliare l'albergo utilizzando un altro edificio storico, situato dall’altra parte della strada. Era una ex clinica gestita dalle suore della Comunità delle Diaconesse, un luogo di guarigione spirituale e fisica. A partire dall’affascinante storia di questo posto, abbiamo iniziato a tessere pian piano un legame con l’ex scuderia reale che si trova accanto.

Come avete bilanciato l’eredità storica dell’edificio e la nuova destinazione d’uso?
Oltre alle camere, alla spa e allo spazio per convegni, sono presenti anche stanze medicalizzate per le persone appena uscite dall'ospedale ma non ancora pronte per tornare a casa. Abbiamo creato una sorta di luogo di transizione dove poter trascorrere la convalescenza in un ambiente piacevole. Come in uno scenario onirico, abbiamo messo insieme riferimenti alla storia dell'edificio. Al piano terra si trova una grande parete decorata in gesso, che rappresenta diverse piante officinali, mentre nelle camere c’è una lampada molto particolare, realizzata in tessuto bianco: una versione stilizzata del copricapo indossato dalle suore. Quindi abbiamo cercato di mantenere piccole tracce della storia dell’edificio per poi iniziare a guardare al futuro, definendo ciò di cui le persone hanno bisogno ora e aggiungendo tutti questi livelli fino a creare un'esperienza unica.

In questo progetto, come in altri, vi è stato chiesto di intervenire di nuovo su un vostro precedente lavoro. Come avete affrontato questa sfida?
È un privilegio tornare a lavorare su un progetto. Significa che, se bisogna cambiare qualcosa, il committente ha abbastanza fiducia in te da richiamarti. Allo stesso tempo, di solito c'è un motivo per cui le persone ti chiedono di rimettere mano a un lavoro, che può essere un cambiamento nelle loro aspettative, un fattore di tipo pratico, un nuovo servizio che vogliono introdurre. C’è sempre qualcosa di nuovo da aggiungere al quadro, per cui noi cerchiamo di sfruttare al massimo il potenziale del progetto e trasformarlo in realtà nella maniera il più fedele possibile all’idea iniziale. La maggior parte delle persone si ferma quando si trova al 60% di questo processo ed è incredibilmente stressante arrivare al 90% o più. Quando torni su un progetto, la situazione è sempre diversa, perché dipende dagli artigiani con cui lavori, dalle persone del tuo stesso gruppo di lavoro. Ciò che è fantastico è il fatto che conosci già il committente, c'è più fiducia da entrambe le parti e ognuno può osare un po' di più. Inoltre, conosci meglio il contesto e hai già instaurato un rapporto con gli artigiani locali. È un'opportunità per imparare dai propri errori e per migliorare l'utilizzo dei materiali o il disegno di un dettaglio costruttivo.

Il legno è il materiale più utilizzato nei nuovi spazi dell’albergo. Quali sono le ragioni estetiche e funzionali alla base di questa scelta?
Il sito è vicino a una regione dove sono presenti molte foreste, quindi il legno era un materiale che potevamo trovare facilmente in loco e questo aspetto è molto importante. Inoltre, si tratta di un antico edificio costruito con pietra e legno. Infine, sappiamo che il legno è un materiale che un tempo aveva una vita e ogni pezzo ti sussurra la sua storia. Anche la pietra racconta storie, perfino più antiche. La gente collega sempre il legno a un’idea di calore, sul piano sia cromatico sia tattile, ma il punto è che ti lascia intuire il suo passato. È una sensazione confortante, come quando si ascoltano i nonni che parlano dei loro ricordi.

Come raggiungete l’equilibrio tra la capacità di reinventarvi per ogni progetto e l’esigenza di conservare lo stile dello studio?
Quando lavoriamo su un progetto, cerchiamo di evocare un’emozione particolare. Non pensiamo a cosa potremmo fare, ma a quale sia la cosa giusta da fare e rispondiamo a questo tema con quella che chiamiamo una “coreografia emozionale”. All'Hotel Les Haras, ad esempio, avremmo potuto collocare la spa al piano terra, ma abbiamo deciso di non farlo, perché sarebbe stato un passaggio troppo veloce. I visitatori hanno bisogno di un percorso per liberarsi di tutti i loro pensieri prima di essere pronti per questa esperienza rilassante, e ciò avviene attraversando il lungo tunnel e scendendo le scale. Mentre il mondo esterno inizia a scomparire e si scopre un nuovo spazio, viene svelato un elemento dopo l'altro finché non si vede il riflesso dell'acqua. Per costruire una sequenza di emozioni, bisogna utilizzare forme e materiali nelle giuste proporzioni: l’estetica è soltanto l’ultimo passaggio.

All'Hotel Les Haras siete stati chiamati a confrontarvi con la storia dell'edificio, ma il contesto geografico è rimasto sempre quello di Strasburgo. Nel nuovo spazio dell'Hotel La Mamounia a Marrakech, invece, avete combinato la tradizione marocchina con influenze europee. Come siete riusciti a sviluppare una soluzione corretta dal punto di vista culturale?
È come una questione generazionale: ogni generazione vuole essere diversa da quelle che l'hanno preceduta. Si rispettano i propri nonni, ma non si vuole vivere nella loro stessa casa. Quindi bisogna essere molto bravi ad ascoltare, perché anche un posto bello diventa un museo senza persone che lo visitino, e questa è una vera tragedia. Noi adoriamo i luoghi che possiedono una vita, quindi cerchiamo di capire come fare in modo che le persone vedano qualcosa che non hanno mai visto prima o che lo guardino in un modo diverso. Ad esempio, la sala da tè era uno spazio morto nell'Hotel La Mamounia, pur essendo una bella stanza. Volevamo trovare la soluzione giusta per quell’ambiente, ed è per questo che vi abbiamo collocato il lampadario, che invita le persone a guardare la spettacolare cupola con le sue decorazioni, riscoprendo qualcosa che hanno sempre amato. Capire fino a dove ci si può spingere è un tema delicato, ma pensiamo di essere sempre stati attenti a questo equilibrio. L'idea è di aggiungere una piccola quantità di energia a un luogo, in modo che inizi a vibrare in modo diverso e torni a vivere.

Hotel Les Haras
Luogo: Strasburgo, Francia
Committente: Hotel Les Haras
Completamento: 2021
Superficie lorda: 1.720 m2
Progetto architettonico e degli interni: Jouin Manku
Architetti esecutivi: Lucquet Architectes
Appaltatore principale: Beaujard
Consulente per l’illuminazione: Studio Vicarini

Fotografie di Nicolas Mathéus, courtesy Jouin Manku

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