Castel Cerreto è un piccolissimo borgo agricolo della campagna bergamasca. Una lembo di campagna rimasto pressoché intatto, in quella parte della pianura da cui già si vedono le alpi orobiche. Io sono nato a Crema, a meno di 30 km da Castel Cerreto. Quando penso alla “campagna” la memoria d’infanzia mi ritorna le stesse immagini, le stesse strade bordate da alberi che tagliano i campi coltivati, lo stesso colore della terra, la giacitura nord-sud della maglia agricola a ricordo della centuriazione romana.La grande differenza tra i miei ricordi e questo luogo è che a Castel Cerreto c’è un “sistema” di cascine raggruppate e non isolate nella campagna. La storia ci racconta che fino all’inizio del novecento Castel Cerreto apparteneva ad un’unica famiglia nobiliare che, senza eredi, decide di donare tutta la proprietà all’orfanatrofio di Bergamo, una fondazione che tutt’ora la gestisce. Nel 1901, per la gestione della proprietà, viene costituita una società cooperativa, “i probi contadini”: un centinaio di famiglie riunite per la coltivazione e la gestione di tutte le terre del lascito nobiliare. E’ un esperimento sociale ed economico, con risvolti ovviamente politici e che suscita un grande interesse internazionale. Arrivano delegazioni dall’estero per studiare il modello cooperativo di Castel Cerreto. Si racconta che lo stesso Tolstoj, incuriosito dall’esperimento bergamasco, tratti il problema della cooperazione agricola nelle pagine di “Anna Karenina”. Confrontando le date appare però inverosimile, dato che il romanzo venne pubblicato 25 anni prima, ma ciò non toglie l’importanza di questo esperimento sociale che ha lasciato tracce ben visibili anche ora ed ha “prodotto” uno spazio, come insegna Lefebvre, modellato sui rapporti sociali, sulla condivisione ed il senso di collettività. La richiesta di realizzare un nuovo centro civico, un edificio per ospitare alcune funzioni pubbliche a servizio della comunità (ambulatori – sala incontri – spazio palestra – scuola dell’infanzia – asilo nido), può sembrare una richiesta paradossale se riferita ad un contesto così piccolo; a noi è invece parsa da subito come una politica lungimirante affinché questi piccoli borghi agricoli possano evitare l’abbandono e la possibilità di trasformarsi in dormitori. E’ anche una grande occasione per capire come si possa innestare un’architettura contemporanea in un contesto così minuto e connotato senza ricorrere ad una dura contrapposizione formale né per contro adottare un linguaggio “bucolico”. Il lotto individuato per il progetto è un confine, il punto di passaggio tra il nucleo originario, il sistema lineare delle cascine e la casa padronale, e quello puntuale degli edifici residenziali più recenti: un lotto di transizione, dove questo passaggio non può essere nascosto. Qui dovrebbe continuare a vedersi la campagna, la vista dei campi dovrebbe proseguire e raggiungere l’abitato. A noi interessava il rapporto tra l’architettura e la terra che ora è completamente negato. Trasformare l’attuale confine, che è di per sé rigido, in bordo, quindi qualcosa che si modifica, si ibrida, dove la terra diviene prima edificio e poi quinta urbana. Una transizione lenta tra la terra e lo spazio urbano. Abbiamo scomposto il programma funzionale in 2 distinti corpi di fabbrica uniti da un elemento trasparente che inquadra la campagna, rendendola così “evidente”. L’edificio monopiano ospita tutte le funzioni pubbliche, dalla grande sala per conferenze agli ambulatori ed allo spazio palestra. Nell’altro edificio sono invece sviluppate le funzioni scolastiche: la scuola dell’infanzia al piano terra e l’asilo nido al primo livello. L’accesso al nido avviene percorrendo una lunga scala cordonata, che salendo apre lo sguardo verso la campagna. Durante questo percorso, che il bambino compie assieme al genitore, c’è il tempo necessario per una lenta “separazione” genitore-figlio, meno traumatica e più naturale di quanto avviene normalmente. Il grande spazio-gioco della scuola dell’infanzia è aperto sulla campagna ma “protetto” dai 2 edifici, come una corte allungata che lentamente connette il borgo con lo spazio agricolo. Lo spazio gioco è di fatto il primo spazio sociale dei bambini, ha enormi valenze educative. In questo senso la lezione di un maestro come Aldo Van Eyck è fondamentale. Verso lo spazio gioco si affacciano i percorsi connettivi di entrambi gli edifici, in modo che questo “inizio di socialità” che è lo spazio gioco sia il centro del progetto. I nuovi edifici riprendono le geometrie delle cascine ma sono disposti ortogonalmente ad esse, proprio per non bloccare la vista della campagna. Il fronte sud, l’affaccio urbano, è risolto con una grande gelosia in laterizio: di giorno è una facciata opaca, con un profilo semplice esattamente come quello degli edifici rurali; di notte si smaterializza e l’illuminazione interna diventa una presenza per tutto il borgo. Per questa facciata sono stati campionate 3 colorazioni di laterizi, messi in opera secondo un preciso schema di posa; la percezione finale di questo fronte riporta l’edificio ad una forte coerenza materica con il borgo rurale, seppur attraverso un linguaggio architettonico originale che “distilla” nel progetto le caratteristiche materiali ed immateriali del luogo. Gli edifici sono realizzati completamente in legno, con pareti portanti in xlam. Questa parte del progetto è stata ingegnerizzata da LignoAlps, con cui collaboriamo frequentemente sia per edifici scolastici che residenziali. Consapevoli che il grande impegno economico, soprattutto per le piccole comunità, sia di fatto legato alla gestione ed alla manutenzione di questi edifici, abbiamo da subito sviluppato una proposta progettuale per ottenere un edificio NZEB, quindi con consumi praticamente nulli o comunque risibili. Abbiamo raggiunto quest’obiettivo utilizzando tecnologie passive e sfruttando l’inerzia termica della copertura verde, un vero “pezzo” di campagna che diventa edificio.
La possibilità di effettuare frequenti cambi di scala, dal progetto urbano al dettaglio costruttivo, così come l’indirizzo rivolto a temi differenti dell’architettura, è una caratteristica della propria attività professionale: “unspecialized architecture”.E’ stato premiato per 2 progetti Europan 8 ; nel 2010 vince il concorso per Social Housing a Milano Figino e nel 2011 riceve una nomination al “MIES VAN DER RHOE award” nonché il premio OAB ed il premio PIDA per gli Hotels. Negli ultimi anni si è occupato di interventi di ri-generazione del patrimonio storico-architettonico, sia alla scala dell’edificio (Nuovo Belvedere grattacielo Pirelli) che alla scala urbana (San Pellegrino Terme: Kursaal, Nuove Terme, Hotel). Dal 2014 si occupa del progetto di ri-generazione dell’ex Cotonificio di Crespi d’Adda (patrimonio Unesco). Con il progetto di riqualificazione dello stadio di Bergamo, indaga la possibilità d'intervenire sugli edifici sportivi come interventi di ri-generazione urbana.