1. Home
  2. Magazine 2021
  3. The Plan 135
  4. Sviluppi verticali ad alta densità

Sviluppi verticali ad alta densità

Patrik Schumacher

Sviluppi verticali ad alta densità
Scritto da Patrik Schumacher -

Questo testo intende rendere esplicito il proprio orientamento a favore di strutture a sviluppo verticale e ad alta densità in opposizione sia alla pianificazione tipica moderna con edifici bassi ad elevata concentrazione, sia alla rigida organizzazione urbana in cui predominano tuttora edifici alti ma distanziati tra loro. L’obiettivo da perseguire è massimizzare la densità incrementando la concentrazione urbana intesa come sistema di interazioni comunicative. La densità non è soltanto una questione di economia degli spazi o di un utilizzo commisurato di servizi e comfort; la densità, essenzialmente, promuove l’economia della conoscenza attraverso lo scambio di informazioni, la cooperazione e la condivisione quali risorse per sviluppare nuove dinamiche all’interno di cluster, sedi di aziende creative. Questo obiettivo richiede da un lato una nuova tipologia di edifici multipiano, dall’altro una nuova progettazione urbana. Adottando questi due criteri, un alto tasso di densità urbana potrà agevolare uno stile di vita integrato anziché decentrato in modo da contribuire alla creatività e alla produttività e, di conseguenza, alla prosperità.

Zaha Hadid iniziò la propria carriera imprimendo un continuo dinamismo alle sue opere. La sua esplosiva visione dello spazio, la fluidità senza confini obbligati delle sue architetture si affiancano all’esigenza di creare uno stretto legame con il paesaggio urbano creando un esteso basamento, sede di attività. Le linee spezzate dei volumi esplosi sembrano galleggiare attraverso lo spazio in accentuata successione, sfidando in apparenza la forza di gravità.

Al di là di questa esuberanza spaziale vi è l’esigenza reale di organizzare progetti dinamici e differenziati all’interno di densi contesti urbani. Ciò comporta il rifiuto di forme chiuse e il ricorso a operazioni digitali di layering senza confini. L’estensione orizzontale è stata la principale dimensione di questa nuova impostazione dinamica. Esemplare dei suoi esordi è il progetto The Peak a Hong Kong, un edificio orizzontale sospeso su pilastri che capovolge l’ordine ortogonale dei grattacieli della città. L’ampio spazio vuoto pubblico, scavato e incuneato all’interno di un intreccio di travi orizzontali che gli fanno da cornice, era già un elemento fondamentale del lavoro di Zaha Hadid, all’inizio della sua carriera. Il concetto di vuoto verrà ripreso più volte nel corso di questo editoriale.

Da allora, gli strumenti progettuali digitali disponibili per la nostra professione si sono rivelati utili anche per la nostra ricerca della complessità. Essi hanno fortemente supportato concetti e sensibilità nuovi che hanno generato il movimento e lo stile del parametricismo. Dopo 25 anni, lavoriamo su larga scala e ci occupiamo di qualsiasi tipologia progettuale. Tra queste, la categoria degli edifici a sviluppo verticale è stata la più difficile, nonché l’ultima a ricorrere alle strategie messe a disposizione della nuova complessità e del nuovo dinamismo, resi possibili dalla rivoluzione digitale.

Il grattacielo sembra essersi bloccato al modello fordista, ormai superato, dominato dalla segmentazione del lavoro e dalla produzione seriale. La tipologia della torre, ultimo lascito dell’era passata, ha resistito finora a qualsiasi introduzione significativa di modelli spaziali complessi, e risponde unicamente a requisiti di quantità. Di solito il suo volume è generato per pura estrusione e lo spazio interno è una semplice moltiplicazione di piani identici. Le torri sono corridoi verticali infiniti, solitamente separate dal livello stradale da un basamento. Tutti elementi che rispondono a ragioni economiche apparentemente vantaggiose. Tuttavia, questo genere di economia, basata più sui costi che sui benefici, è sempre più discutibile.

La struttura organizzativa dei grattacieli è troppo semplicistica e costrittiva. Le torri sono edifici chiusi che contengono unità altrettanto chiuse (i piani). Questa rigorosa suddivisione e la conseguente carenza di interconnessione sono in netta antitesi con i modelli contemporanei del lavoro e dei rapporti commerciali, nonché con l’attuale stile di vita urbano. È giunto il momento di mettere in discussione la classica tipologia degli edifici a torre e di fare in modo che anch’essa partecipi alla riorganizzazione generale della società, passando dal fordismo al postfordismo.

La nostra era si caratterizza per una concentrazione urbana senza precedenti. La vita degli abitanti della città contemporanea sta diventando sempre più complessa; sempre più persone si muovono contemporaneamente dallo stesso luogo con finalità diverse. A distinguere lo stile di vita contemporaneo da quello modernista, caratterizzato dalla separazione delle funzioni e da una monotonia ripetitiva, sono la prossimità dei servizi complementari e l’intensificarsi di connessioni tra attività diverse. Questa rete di attività può svilupparsi dal basso verso l’alto in un tessuto urbano che offre le stesse libere connessioni spaziali dei collegamenti e dei vuoti urbani. Cosa sarebbe necessario per dare un impulso allo sviluppo di processi urbani sinergici all’interno e tra gli edifici? Sono tre i campi d’azione da affrontare: polarizzazione della densità, vuoti strutturali ed elementi di collegamento.

Tradizionalmente, la torre è composta da una serie di piani impilati senza correlazione tra loro. Il nucleo centrale dell’edificio fa sì che le superfici utili di ciascun piano siano altrettanto separate. Le torri sono di norma grossi investimenti che esigono una sempre maggiore efficienza dei costi; questi ultimi, tuttavia, sono soltanto uno dei criteri di stima nella valutazione degli immobili. In una analisi costi-benefici, infatti, bisogna valutare entrambe queste voci. Per quanto sia ovvio definire una superficie e per quanto sia facile calcolarne le dimensioni, il problema sta nel fatto che la valutazione dei vantaggi - quali la percorribilità, la visibilità interna e la comune percezione - offerti dagli spazi vuoti non è così banale, anzi, è complesso quantificarli per cui solitamente si evita di considerarli. Occorre quindi una leadership imprenditoriale con sufficiente perspicacia per capire che gli spazi vuoti con un riuscito collegamento visivo sono elementi di progetto capaci di attrarre clienti disposti a pagarne i costi aggiuntivi.

L’idea è molto semplice: tutti gli edifici, specialmente i grattacieli, devono prevedere come elemento compositivo il vuoto. Dobbiamo, quindi, sostituire delle superfici utili con spazi vuoti per offrire visuali prospettiche complesse all’interno.

Chi scrive è convinto che quanto esposto si verificherà nel corso dell’attuale economia della conoscenza nell’ambito di aziende che operano nel settore creativo. In questo campo, i costi immobiliari rappresentano solo una piccola parte rispetto a quelli del capitale umano e le prospettive di una maggiore produttività e competenza degli operatori del settore giustificheranno i costi da sostenere per pianificare spazi vuoti nel denso articolarsi di piani e postazioni di lavoro. La densità visiva è più importante di quella fisica, in quanto facilita la comunicazione. E questo non implica soltanto agevolare incontri, conversazioni, scambi o collaborazioni, ma produce un immediato riscontro per gli stimoli provocati dal sentirsi parte di un gruppo di creativi. La ragione di questa reazione positiva è intuitiva: è dovuta alla possibilità di incontrarsi, acquisire, collaborare, tutte attività che aumentano la produttività e di conseguenza migliorano la qualità della vita; un fattore allettante per chi aspira a una crescita professionale.

Qual è lo scopo di riunire migliaia di persone in una torre, se non quello di rendere più agevole la collaborazione, pianificata o improvvisata? Nel postfordismo il lavoratore non è più vincolato alla catena di montaggio, in quanto la produzione è automatizzata grazie a sistemi robotici programmabili. L’unione tra la computazione e il networking ha promosso questa nuova era tecnologica, oggi ulteriormente potenziata dall’intelligenza artificiale che ha una capacità infinita di assorbire le innovazioni. I robot industriali possono essere riprogrammati per tempo e vi si possono caricare miliardi di nuove applicazioni di servizio in qualsiasi momento; lo stesso vale per gli aggiornamenti del software. Le linee di assemblaggio tipiche del fordismo non erano così immediate nell’assorbire le innovazioni di un prodotto. I cicli innovativi duravano anni o decenni anziché mesi o settimane, e i lavoratori rimanevano comunque bloccati all’interno della catena di assemblaggio. Al giorno d’oggi invece qualsiasi settore (R&S, marketing, finanza) può concentrarsi su un’innovazione continua. Se i lavoratori si trasformano in operatori nel settore creativo della conoscenza, devono diventare essi stessi i punti di riferimento in un processo continuo di auto-organizzazione, e questo non può essere pianificato dall’alto. La direzione è impegnata a realizzare piattaforme aperte che possano far prosperare l’auto-organizzazione. L’edificio è una di queste piattaforme che può fare la differenza. I costi di realizzazione o di affitto di queste piattaforme di comunicazione digitali sono niente in confronto al capitale umano che occupa questi edifici. Un edificio che spreca e blocca questo capitale umano danneggia l’economia, indipendentemente dai costi di costruzione. Tutte le idee, innovazioni e collaborazioni produttive che potrebbero essere il risultato dell’unire migliaia di menti intelligenti all’interno di un volume rappresentano il costo-opportunità nascosto che manca nel calcolo del bilancio previsto per ogni progetto. Le analisi comparative su scala urbana hanno peraltro dimostrato ciò che gli esperti di economia urbana chiamano economie di agglomerazione.

Il parametricismo si è evoluto e ora è in grado di proporre soluzioni elaborate d’avanguardia su ampia scala. I progetti menzionati in seguito dimostrano il valore aggiunto, esperienziale e comunicativo, che un’architettura urbana verticale con vuoti e ponti di collegamento può offrire alla nuova società globale interconnessa. Ora più che mai, il compito della progettazione architettonica è quello di fornire un’articolazione più percepibile delle relazioni per facilitare l’orientamento e la comunicazione. La differenziazione, l’interfaccia e la praticabilità fanno parte di un programma chiaro che necessita di un linguaggio architettonico affinato e versatile. Una struttura contemporanea estrusa - per esempio un esoscheletro rinforzato - è per sua natura uno strumento utile per differenziare la torre lungo il suo asse verticale. L’esoscheletro, inoltre, allenta la pressione sul nucleo centrale e permette di liberare le superfici interne. I vuoti distribuiti lungo l’asse verticale possono così fondersi in un unico grande atrio con ascensori panoramici, offrendo un’esperienza analoga a una strada urbana verticale. Prendiamo come esempio la torre Morpheus di Zaha Hadid Architects (ZHA) a Macao.

Morpheus è un hotel di lusso inserito nel complesso City of Dreams di Macao. Il progetto prevede un esoscheletro che determina ampia libertà strutturale allo sviluppo del vuoto interno. Questo spazio vertiginoso è percorso da ascensori panoramici vetrati che donano viste a 180 gradi ed è attraversato da ponti sospesi che diventano spazi di socialità, come bar e ristoranti. La vista si apre anche sul contesto urbano. La torre Leeza SOHO a Pechino risponde alla domanda di piccole e medie imprese di spazi flessibili per uffici, organizzati attorno all’atrio più alto del mondo aperto a vedute panoramiche sul contesto urbano. L’edificio, composto da due torri, è solcato da un enorme spazio vuoto che si sviluppa in altezza subendo una leggera torsione. La fluida traiettoria del vuoto è ritmata da una travatura reticolare che collega le due metà dell’edificio.

La torsione delle superfici interne dell’atrio dà ritmo e dinamicità allo spazio, facilitando e differenziando le vedute interne più di una superficie dritta e lineare. I ponti sospesi servono da tiranti ed enfatizzano il libero fluire dello spazio, mentre l’atrio funge da piazza pubblica per il nuovo quartiere direzionale mettendo in comunicazione visiva tutti gli spazi interni; la torre Leeza crea così per l’intera città un nuovo centro civico, collegato direttamente alla rete dei trasporti. L’atrio, inoltre, porta la luce naturale anche negli spazi interni più profondi e funge da camino termico; dotato di un sistema di ventilazione integrato, filtra l’aria e ne limita l’ingresso mantenendo una pressione positiva ai livelli inferiori.

Come nel progetto a Macao, anche qui è importante che il grande atrio non sia uno spazio ermetico, ma che entri in un dialogo visivo con il tessuto urbano circostante; in tal modo si riduce l’effetto vertiginoso dell’altezza aumentando per contro la sensazione di libertà spaziale. Entrare in questo spazio vuoto centrale è un’esperienza esaltante, e ricorda l’emozione provata entrando in una grande cattedrale gotica.

Le vedute di questo spazio interconnesso, dall’intorno urbano o dai grattacieli di prossimità, sono altrettanto suggestive della vista sull’immensa hall e a sua volta da qui verso l’esterno. Esso invita le persone a entrare e a salire per avere a ogni livello visuali su ciò che succede ai vari piani, creando il primo passo verso un’interazione sociale produttiva.

L’idea di introdurre in modo esplicito la praticabilità come priorità nella progettazione di un grattacielo va di pari passo con l’intento di introdurre nel suo sviluppo verticale un determinato grado di differenziazione e complessità. La ripetizione dello stesso schema non richiede un particolare sforzo progettuale per agevolare l’orientamento e organizzare percorsi: in una torre solitamente è molto semplice, basta entrare in un ascensore e selezionare il piano desiderato.

A una maggiore complessità della torre e all’ingresso di servizi pubblici da distribuire al suo interno,  corrisponde il complicarsi  della sua praticabilità. Essa è molto più di una circolazione automatica: significa addentrarsi concretamente e concettualmente nella profondità di uno spazio. È fondamentale quindi progettare questo spazio in modo leggibile, permettere di percepirne visivamente la profondità e, al contempo, fare in modo che si crei automaticamente una mappa mentale. In questo spazio i piani non sono più oscure strutture scatolari isolate. Tale configurazione invita inoltre a muoversi liberamente tra gli spazi, anziché dirigersi verso una destinazione prestabilita o conosciuta. Bisogna predisporre percorsi di comunicazione strategici che, senza compromettere il senso di orientamento, offrano possibilità di incontri non pianificati ma non occasionali, come può accadere in un vivace tessuto urbano. Questo è il concetto di interior urbanism. Una domanda sorge spontanea: lo stesso concetto può essere applicato anche alla progettazione delle torri? L’atrio molto grande è una soluzione possibile, ovvero la torre come vuoto ininterrotto, in grado di mettere in comunicazione visiva migliaia di attività potenzialmente rilevanti l’una per l’altra. Prendiamo come esempio il progetto di ZHA per la sede della multinazionale Tai Kang a Wuhan.

Intorno all’enorme spazio vuoto sono riunite le molte imprese controllate dalla multinazionale, oltre a esercizi commerciali e a un piccolo business hotel: una piazza urbana del XXI secolo, un vero e proprio interno urbano. Ne risulta una spettacolare scenografia urbana che suscita una sensazione eccitante che stimola il desiderio di essere produttivi: un valore aggiunto che, a sua volta, stimola ad avviare potenziali incontri di lavoro.

Questi spazi esprimono e facilitano la complessità, il dinamismo e velocizzano la comunicazione nel contesto urbano della nostra “Network Society” del XXI secolo. L’interno degli edifici deve risultare permeabile e urbanizzato, per accrescere le opportunità di intervisibilità tra le diverse attività sociali nel loro insieme, per massimizzare le sinergie frutto della comune locazione e per agevolare la libera circolazione delle persone. Un ulteriore esempio è la Dominion Tower di ZHA a Mosca, dove le imprese del settore creativo si sono fuse spontaneamente in un cluster sinergico.

Riusciamo facilmente a spiegare il fenomeno della migrazione verso le città, sempre più estese e popolate, e verso edifici sempre più grandi: ci riuniamo per intraprendere nuove relazioni, per scambiarci le conoscenze e per collaborare. L’ambiente costruito diventa un’interfaccia ricca di informazioni, stimolante e coinvolgente e uno strumento con cui creare una rete di rapporti. E così diventa una “macchina dell’esperienza”. Lasciati andare e scopri te stesso!

Più alto è il grattacielo, più importante diventa il suo modo di interfacciarsi con l’attacco a terra. La presenza di un grande numero di persone al suo interno fa sì che al piano terra si prevedano una serie di spazi con specifiche destinazioni d’uso. Nel caso di un hotel per esempio, vi si trovano i servizi aggiuntivi come lobby, ristoranti, bar, negozi, ecc.; anche le torri residenziali o per uffici reclamano ampi pianterreni. Di solito queste necessità di spazio aggiuntivo vengono risolte aggiungendo al basamento delle piattaforme che separano il corpo della torre dal terreno.

Una delle nostre principali ambizioni è quella di trovare valide alternative alla tipologia di un “fabbricato su basamento”, alternative però che non richiedano l’aggiunta di un terzo elemento tra il livello del terreno e la torre stessa. Il podio commerciale interrato, per esempio, è una soluzione che ZHA ha adottato nella torre Leeza SOHO.

Gli ultimi due progetti qui presentati suggeriscono tipologie strategiche di interfacce stratificate tra la torre e il suolo pubblico. Il progetto di Zaha Hadid Architects per la nuova sede di Oppo, colosso cinese delle telecomunicazioni, prevede una serie di torri appoggiate su una piattaforma terrazzata con la stessa funzione di un basamento ma in grado di integrare ciascuna torre con il suolo pubblico anziché allontanarla da esso. La seconda proposta, su cui stiamo lavorando attualmente, sono due torri gemelle a uso misto nella baia di Shenzhen, la Tower C, situata nel distretto Shenzhen Bay Super Headquarters Base. Tale progetto sviluppa ulteriormente il concetto di stratificazione dei piani e di ampliamento della base trasformandoli in un paesaggio terrazzato che si collega con il parco adiacente. L’accesso ai vari livelli del basamento previsto e quindi alle torri avviene proprio dal parco; gli ingressi dall’esterno a più livelli sono un forte richiamo per i visitatori a entrare nell’edificio. Queste connessioni tra le due torri e il parco offrono anche ai livelli superiori spazi semi-pubblici di interazione. Anche qui il volume del previsto basamento abbraccia atrii attrezzati.

L’intento di intensificare la comunicazione all’interno di strutture verticali ad alta densità e tra di esse utilizzando strategie combinate quali l’aggregazione di funzioni (clustering), ponti e atrii, porterà all’ideazione di un nuovo modello di urbanistica, la città verticale. Con questa premessa, la tipologia della torre sarà vista sotto una nuova luce nelle principali società metropolitane, dove il desiderio di connessione sociale (anziché di pura concentrazione umana) è la forza motrice della densità urbana. In futuro - persino più di quanto è evidente già oggi - questo sviluppo di cluster ad altissima densità sarà a uso misto. Qui si incroceranno molteplici processi vitali, i quali dovranno essere ordinati in strutture complesse che tuttavia rimarranno leggibili e quindi produttive.

Digitale

Digitale

5.49 €
Stampata

Stampata

15.00 €
Abbonamento

Abbonamento

Da 35.00 €
Resta aggiornato sulle novità del mondo dell'architettura e del design

© Maggioli SpA • THE PLAN • Via del Pratello 8 • 40122 Bologna, Italy • T +39 051 227634 • P. IVA 02066400405 • ISSN 2499-6602 • E-ISSN 2385-2054